«Grazie, ma non è necessario.»
Posò la biancheria e andò al lavello con le ciabatte che battevano contro i talloni.
«Mi dispiace molto per quello che è successo nella tua camera.»
«Non c'era niente di valore.»
«Dev'essere venuto qualcuno mentre ero al mercato.» Prese uno strofinaccio e lo annusò. «A volte mi chiedo dove stiamo andando a finire. Il Signore...»
«Sono cose che succedono.»
«In questa casa non ci sono mai stati furti.» Si voltò verso di me, lo strofinaccio attorcigliato tra le mani. «Non ce l'ho con te perché ti sei arrabbiata.»
«Ma io non sono arrabbiata con te.»
Prese un lungo respiro, aprì la bocca, la richiuse. Ebbi l'impressione che volesse dire qualcosa, ma che poi avesse cambiato idea, temendo l'impatto che il racconto avrebbe potuto avere sulla sua vita. Bene. Ero troppo tesa per un ascolto compartecipe.
«Vuoi qualcosa da bere?» mi chiese.
«C'è una limonata?»
Ruby gettò lo strofinaccio nella bacinella e andò al frigorifero. Prese una caraffa di plastica, riempì un bicchiere e lo posò vicino al mio sandwich.
«E poi, tutta questa storia della televisione.»
«Sin dai tempi della scuola, non sono mai stata una reginetta di popolarità.»
Sorrisi, cercando di non lasciar trapelare la mia agitazione. Ma probabilmente non ci riuscii.
«Non è una cosa divertente. Non dovresti permettere che ti facciano questo.»
«Non posso controllare la stampa, Ruby.»
Prese un piatto di plastica e ci adagiò il mio sandwich.
«Biscotti?»
«Ma certo.»
Aggiunse tre biscotti e poi mi guardò dritta negli occhi.
«"Beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno, e falsamente diranno di voi ogni male..."»
«Le persone che per me sono importanti sanno che queste accuse sono false.»
«Allora forse dovresti controllare qualcun altro.»
Sollevò la bacinella, se la appoggiò su un fianco e uscì senza voltarsi.
Sperando in una conversazione un po' più razionale, andai a mangiare il mio sandwich con Boyd. E non rimasi delusa. Il chow-chow annusò i biscotti e mi osservò senza commentare mentre consumavo il mio pranzo e riflettevo sulla mia situazione.
Arrivata al garage, appresi che il problema alla mia auto non era grave ma era necessario cambiare la pompa dell'acqua. La lettera assente, o P o T, era andato ad Asheville, dove sperava di riuscire a trovare il pezzo. In caso positivo, la macchina avrebbe potuto essere pronta il pomeriggio successivo.
Avrebbe potuto. Notai che la Chevrolet, la Pinto e i pick-up erano esattamente dove li avevo visti il giorno precedente.
Controllai l'ora. Le due e mezza. Lucy Crowe non era ancora in ufficio.
E adesso?
Chiesi un elenco telefonico e mi passarono un volume del 1996 logoro e puzzolente di petrolio e derivati. Per separare le varie pagine mi ci vollero entrambe le mani.
Non trovai nulla sotto «Casa di Dio e della Santissima Luce Eterna», ma trovai un certo L. Bowman sulla Swayney Creek Road. P/T conosceva l'incrocio, ma non poté essermi più utile di così. Lo ringraziai e tornai all'auto di Ryan.
Seguendo le indicazioni di P/T, uscii dalla città. Come mi aveva detto, Swayney Creek Road confluiva nella statale 19 tra Ela e Bryson City. Mi fermai presso una stazione di servizio a chiedere indicazioni per la casa di Bowman.
Mi rispose un ragazzo sui sedici anni, i capelli neri e unti pettinati con la riga in mezzo e fermati dietro le orecchie. La scriminatura era punteggiata di particelle bianche, simili a fiocchi di neve su un ruscello fangoso.
Il ragazzo posò un giornalino a fumetti e mi guardò stringendo gli occhi, come se la luce lo infastidisse. Prese una sigaretta da un posacenere metallico, tirò una boccata e indicò con il mento in direzione di Swayney Creek.
«Sono circa tre chilometri, verso nord.» Le parole gli uscirono mischiate a una nuvola di fumo.
«Da che parte?»
«Cerchi una cassetta delle lettere verde.»
Mentre mi allontanavo mi sentii scrutata da un paio di occhi socchiusi.
Swayney Creek era una sottile lingua di asfalto nero che scendeva bruscamente subito dopo la statale. La discesa durava circa un chilometro, poi la strada proseguiva in piano attraversando una lunga striscia di bosco di conifere. Da un lato della strada scorreva un fiumiciattolo così limpido che si potevano vedere i ciottoli sul fondo.
Mentre guidavo in direzione nord, incrociai alcuni cartelli che indicavano le varie abitazioni. Poi la strada piegò verso est salendo leggermente, e notai una radura tra gli alberi e, sulla destra, una cassetta per le lettere verde e arrugginita. Mi avvicinai e vidi il nome Bowman inciso su una targa appesa sotto la cassetta con due catenelle.
Svoltai nel vialetto sterrato e proseguii sperando di aver trovato il Bowman giusto. Pini, abeti rossi e tsughe torreggiavano su di me lasciando filtrare solo qualche raggio di luce. Cinquanta metri più avanti, la casa di Luke Bowman faceva capolino tra il verde, come una sentinella solitaria messa a guardia della foresta.
Il reverendo viveva in un villino con una veranda su un lato e un capanno sull'altro. Insieme, i due spazi contenevano legna da ardere sufficiente a riscaldare un intero castello. Sulle finestre ai lati della porta sporgevano due tendoni turchesi, che in quel luogo così buio risultavano fuori posto come l'insegna di McDonald's su una sinagoga.
Il giardino era totalmente in ombra e coperto da un tappeto di foglie e aghi di pino. Il sentierino di ghiaia che lo attraversava univa la porta d'ingresso a un rettangolo di ghiaia alla fine della strada.
Accostai al pick-up di Bowman, spensi il motore e accesi il cellulare. Prima ancora che uscissi dall'auto, la porta si aprì e il reverendo comparve sulla soglia. Era di nuovo vestito di nero, come se volesse ricordare perfino a se stesso la sobrietà della sua missione.
Bowman non sorrise, ma quando mi vide il suo viso si rilassò. Scesi dall'auto e percorsi il sentierino, orlato da funghetti marroni su entrambi i lati.
«Mi dispiace disturbarla, reverendo Bowman. Ma ho dimenticato un sacchetto con la spesa nel suo pick-up.»
«Sì, l'ho trovato. Adesso è in cucina.» Fece un passo indietro. «La prego, venga dentro.» Gli passai accanto ed entrai in un ambiente buio in cui aleggiava un forte odore di bacon bruciato.
«Vuole qualcosa da bere?»
«No, grazie. Non posso fermarmi.»
«La prego, si sieda.» Mi invitò ad accomodarmi in un piccolo soggiorno stipato di mobili. Sembrava che i vari pezzi fossero stati acquistati tutti insieme e poi disposti esattamente come nel negozio, solo tutti molto più vicini.
«Grazie.»
Sedetti su un divano in velluto marrone, il centro di un insieme di tre pezzi ancora coperti dalla plastica. Le finestre erano aperte, nonostante la temperatura quasi invernale, e le tende scozzesi sui toni del marrone svolazzavano sospinte dalla brezza.
«Vado a prendere le sue cose.» Il reverendo scomparve oltre una porta, da cui filtrarono le voci e gli applausi di un gioco televisivo. Io mi guardai intorno.
La stanza era priva di oggetti personali. Non c'erano foto di laurea né di matrimoni. Nemmeno istantanee dei bambini in spiaggia o del cane con il cappello di carta colorata. Le uniche immagini raffiguravano persone con l'aureola. Riconobbi Gesù e un tizio che pensai potesse essere Giovanni Battista.
Dopo qualche minuto Bowman fu di ritorno. Quando mi alzai la fodera di plastica scricchiolò.
«Grazie.»
«È stato un piacere, signora Temperance.»
«E grazie ancora per ieri.»
«Sono contento di esserle stato d'aiuto. Peter e Timothy sono i migliori meccanici della contea. Sono anni che porto il mio pick-up da loro.»
«Reverendo Bowman, vive qui da molto tempo, vero?»
«Da tutta la vita.»
«Lei non sa niente di uno chalet con un cortile dalle parti di Running Goat Branch?»
«Ricordo di aver sentito mio padre parlare di un campeggio da quelle parti, ma mai di uno chalet.»
Mi venne un'idea. Passai il sacchetto sulla sinistra, cercai il fax di McMahon nella borsa e lo mostrai a Bowman.
«Per caso conosce qualcuno di questi nomi?»
Aprì il foglio e lo lesse. Lo osservai attentamente ma non notai alcun cambiamento nella sua espressione.
«No. Mi spiace.»
Mi restituì il fax e io lo riposi nella borsa.
«Ha mai sentito parlare di un uomo chiamato Victor Livingstone?»
Bowman scosse la testa.
«E di un certo Edward Arthur?»
«Conosco un Edward Arthur che vive dalle parti di Sylva. Faceva parte della Holiness Church, ma ha lasciato il movimento anni fa. Fratello Arthur sosteneva di essere stato guidato verso lo Spirito Santo da George Hensley in persona.»
«George Hensley?»
«Il primo uomo a maneggiare i serpenti. Fratello Arthur diceva di aver fatto conoscenza con il reverendo Hensley nel periodo in cui abitava nella Grasshopper Valley.»
«Capisco.»
«Fratello Arthur ormai dovrebbe essere vicino ai novant'anni.»
«È ancora vivo?»
«Come la sacra parola di Dio.»
«Era un membro della sua chiesa?»
«Faceva parte del gregge di mio padre; era il più devoto tra gli uomini che abbiano mai respirato l'aria del buon Dio. Fu l'esercito a cambiarlo. Dopo la guerra continuò a professare la nostra fede per qualche anno, ma poi smise di seguire i segni.»
«Quando?»
«Verso il '47, o il '48. No. Non è esatto.» Alzò un dito nodoso. «L'ultima funzione a cui fratello Arthur partecipò fu il funerale di sorella Edna Farrell. Lo ricordo perché mio padre aveva pregato per lui, affinché potesse ritrovare la fede. Circa una settimana dopo il funerale, mio padre andò a far visita a fratello Arthur e si trovò a predicare dietro la canna di un fucile. Poi non lo vide più.»
«Quando è morta Edna Farrell?»
«Nel '49.»
Edward Arthur aveva venduto la sua terra alla società d'investimenti H&F il 10 aprile 1949.
19
Trovai Edward Arthur in un orto dietro una casupola di tronchi d'albero. Indossava una camicia di lana scozzese su una tuta da lavoro di jeans, stivaloni di gomma e un cappello di paglia logoro che pareva essere appartenuto a un gondoliere. Quando mi vide si interruppe per qualche secondo, poi tornò al suo lavoro.
«Il signor Arthur?» domandai.
Il vecchio continuò a usare il suo forcone, che finì di affondare nella terra con una spinta del piede malfermo. Aveva così poca forza che le punte stentavano a penetrare, eppure continuava ostinatamente a ripetere il movimento.
«Edward Arthur?» chiesi alzando il tono di voce.
Non rispose. Ogni volta che il forcone toccava il terreno, produceva un rumore sordo.
«Signor Arthur, vedo che lei è molto occupato, ma vorrei solo farle qualche domanda.»
Cercai un'espressione che speravo assomigliasse a un sorriso incoraggiante.
Arthur raddrizzò la schiena come meglio poté, e si avvicinò a una carriola carica di sassi e di piante morte. Quando si tolse la camicia, notai sulle braccia ossute delle macchie grosse come fagioli bianchi. Scambiò il forcone con una zappa e tornò al solco dove stava lavorando.
«Vorrei chiederle qualcosa su una proprietà vicino a Running Goat Branch.»
Per la prima volta Arthur mi guardò. Aveva gli occhi cisposi e bordati di rosso, le iridi erano così pallide da sembrare incolori.
«Mi risulta che un tempo lei avesse della terra da quelle parti, vero?»
«Perché sei venuta da me?» Il suo respiro era rumoroso, come se l'aria fosse risucchiata attraverso un filtro.
«Vorrei sapere chi ha comprato la sua terra.»
«Sei dell'FBI?»
«No.»
«Sei con quelli dell'aereo caduto?»
«Ho partecipato alle indagini, ma adesso non sono più con loro.»
«Chi ti ha mandata qui?»
«Nessuno, signor Arthur. Ho avuto il suo indirizzo da Luke Bowman.»
«Allora perché non hai fatto le tue domande a lui?»
«Il reverendo Bowman non sapeva niente della sua terra, tranne che forse per un periodo c'era stato un campeggio.»
«Ha detto così?»
«Sì, signore.»
Arthur prese da una tasca un fazzoletto verde pappagallo e si deterse la faccia. Poi lasciò cadere l'attrezzo e zoppicando venne verso di me, la schiena curva come un avvoltoio dal collo rosso. Quando fu vicino gli vidi dei peli bianchi spuntare da narici, collo e orecchie.
«Non posso dire molto del figlio, ma Thaddeus Bowman era l'uomo più irritante che abbia mai respirato su questa terra. Ha gestito una fabbrica di alleluia per quarant'anni.»
«Lei è stato uno dei seguaci di Thaddeus Bowman?»
«Finché non ho capito che tutte quelle storie su cacciare i demoni e parlare lingue nuove erano un mucchio di stronzate.»
Arthur tossì e sputò per terra.
«Capisco. E lei ha venduto la sua proprietà dopo la guerra?»
Arthur continuò come se non avessi parlato.
«Thaddeus Bowman continuava a darmi la caccia con questa sua idea che dovevo pentirmi, ma io avevo la testa in altre cose. Quel maledetto pazzo non voleva accettare che me ne fossi andato dalla congregazione, e allora l'ho messo di fronte alla canna del mio fucile.»
«Signor Arthur, sono venuta fin qui per parlare della proprietà che lei acquistò da Victor Livingstone...»
«Io non ho comprato nessuna proprietà da Victor Livingstone.»
«Ma dai documenti risulta che Livingstone le ha trasferito la titolarità della terra nel 1933.»
«Nel 1933 avevo diciannove anni. E mi sono sposato.»
Così non saremmo arrivati a nulla.
«Lei conosceva Victor Livingstone?»
«Sarah Masham. È morta di parto.»
Mi rispondeva così a sproposito che mi chiesi se non avesse la demenza senile.
«I diciassette acri sono stati il nostro regalo di nozze. C'è una parola per dire questa cosa.»
Le rughe intorno agli occhi gli si fecero più profonde per la concentrazione.
«Signor Arthur, mi dispiace darle disturbo, ma...»
«Dote. Ecco la parola. Quella era la sua dote.»
«Che cosa era la sua dote?»
«Non mi stavi chiedendo della terra a Running Goat?»
«Sì.»
«Ce l'aveva data il padre di Sarah. E poi lei è morta.»
«Victor Livingstone era il padre di sua moglie?»
«Sarah Masham Livingstone. Era la mia prima moglie. Eravamo sposati da tre anni quando lei se n'è andata. Non aveva neanche diciotto anni. Il padre era così distrutto che dopo un po' se n'è andato anche lui.»
«Mi dispiace, signor Arthur.»
«A quel punto sono scappato via da qui e sono andato con George Hensley in Tennessee. È lui che mi ha tirato dentro la storia dei serpenti.»
«E che fine fece la proprietà di Running Goat?»
«Un tìzio di città ha chiesto se poteva prenderla in affitto, per farci un piccolo campeggio. Io non volevo avere più niente a che fare con quel posto, così ho detto di sì. Cavolo, sembrava un guadagno così facile.»
Di nuovo si schiarì la gola e sputò per terra.
«Era un campeggio attrezzato?»
«Ci venivano per pescare e per cacciare, ma se proprio vuoi sapere cosa penso io, più che altro volevano nascondersi dalle mogli.»
«C'era una casa?»
«Al campeggio stavano nelle tende, e accendevano i fuochi e roba del genere, finché non ho costruito lo chalet.» Scosse la testa. «Proprio non capisco che cosa vuol dire divertirsi per certi scemi.»
«Quando ha costruito lo chalet?»
«Prima della guerra.»
«C'era anche un cortile recintato?»
«Ma che cavolo di domanda è questa?»
«Ha costruito un muro di pietra intorno a un cortile?»
«Non stavo mica costruendo il regno di Camelot.»
«Ha venduto la terra nel 1949?»
«Direi di sì.»
«L'anno in cui ha rotto i ponti con Thaddeus Bowman.»
«Proprio così.»
«Luke Bowman si è ricordato che lei ha lasciato la congregazione subito dopo il funerale di Edna Farrell.»
Di nuovo le rughe si fecero più profonde.
«E con questo cosa vorresti dire?»
«Niente, signor Arthur.»
«Edna Farrell era una buona cristiana. Avrebbero dovuto fare di meglio con lei.»
«Le dispiacerebbe dirmi chi comprò il campeggio?»
«E a te dispiacerebbe dirmi perché ti stai facendo i fatti miei?»
Dovetti rapidamente rivedere la mia valutazione su Edward Arthur. Avevo pensato che avesse il cervello annebbiato solo perché era vecchio e taciturno. L'uomo che avevo di fronte era guardingo come Kasparov. Decisi di giocare a carte scoperte.
«Non mi occupo più delle indagini perché sono stata accusata di comportamento scorretto. Ma le accuse a mio carico sono false.»
«Ah.»
«Sono convinta che in quello chalet ci sia qualcosa che non va, e voglio sapere di che si tratta. L'informazione potrebbe aiutarmi a salvare la mia reputazione, ma penso che finora i tentativi che ho fatto in questa direzione in qualche modo siano stati ostacolati.»
«Sei già stata lì?»
«Non all'interno.»
L'uomo fece per dire qualcosa, ma una folata di vento mandò il suo cappello a rotolare nell'orto. Un paio di labbra violacee si ritirarono dalle gengive senza denti, e un braccio da spaventapasseri scattò in avanti.
Con un balzo raggiunsi il cappello e lo fermai con un piede. Poi lo pulii dalla terra e lo riconsegnai ad Arthur.
Il vecchio prese la sua paglietta e rabbrividendo se la portò al petto.
«Vuole la sua camicia, signor Arthur?»
«Sta cominciando a far freddo» disse, e si mosse verso la carriola.
Quando finì di abbottonarsi la camicia, lo aiutai a raccogliere gli attrezzi e a portarli insieme alla carriola in un capanno dietro la casa di tronchi d'albero. Mentre chiudeva la porta gli posi nuovamente la domanda.
«Chi ha comprato la sua terra, signor Arthur?»
Il vecchio fece scattare il lucchetto, lo provò un paio di volte poi si voltò verso di me.
«È meglio che stai alla larga da quel posto, signora.»
«Le prometto, signor Arthur, che non ci andrò mai da sola.»
Arthur mi guardò così a lungo che ormai pensavo non mi avrebbe risposto. Invece mi si fece più vicino e alzò la faccia verso la mia.
«Prentice Dashwood.»
E pronunciò il nome Prentice con una tale forza che mi arrivò uno schizzò di saliva sul mento.
«Quindi la sua terra è stata comperata da Prentice Dashwood?»
Il vecchio annuì, e i suoi occhi si incupirono.
«Il diavolo in persona» sibilò.
Quando telefonai all'ufficio di Crowe, un vice mi informò che lo sceriffo era ancora a Fontana Lake. Rimasi seduta al volante per qualche secondo, facendo tintinnare le chiavi e fissando la casupola di Arthur.
Poi accesi il motore e partii.
Nonostante i nuvoloni nerastri che si stavano rapidamente formando, guidai con il finestrino abbassato lasciando che l'aria mi sferzasse il viso. Sapevo che il vento presto avrebbe flagellato gli alberi e la pioggia avrebbe spazzato la strada e il fianco della montagna, ma per il momento la sensazione era piacevole.
Imboccai la statale 19 e mi diressi verso Bryson City. Tre chilometri prima della città vidi una piccola insegna di legno e svoltai in una strada di ghiaia.
Dopo circa quattrocento metri trovai il Riverbank Inn, affacciato sulla riva del Tuckasegee.
Era una costruzione a un piano con l'intonaco giallo, che riprendeva lo stile dei ranch degli anni Cinquanta. Le sedici stanze erano disposte a destra e a sinistra di un ufficio centrale, e ognuna aveva l'entrata indipendente sul fronte dell'edificio e una veranda sul retro. Una zucca intagliata di plastica sorrideva da ogni davanzale, e uno scheletro elettrico pendeva da un albero di fronte all'ingresso principale.
Era chiaro che il fascino del motel stava nella sua posizione, più che nello stile architettonico.
Parcheggiai di fronte all'ufficio, e notai due sole automobili, una Pontiac Grand AM rossa con targa dell'Alabama, e una Ford Taurus blu targata North Carolina. Le due vetture erano parcheggiate di fronte alle unità 2 e 7.
Quando passai davanti allo scheletro, questo emise un gemito seguito da una risata stridula e metallica. Mi chiesi quante volte Primrose avesse dovuto sopportare quello spettacolo.
L'atrio del motel aveva la stessa atmosfera di High Ridge House. Una fila di campanellini appesi alla porta, tende di chintz, legno di pino.
Un targa mi diede il benvenuto e mi presentò i proprietari: Ralph e Brenda Stover. Una zucca intagliata sorrideva sul bancone.
Un uomo con un pullover dei Redskins sedeva accanto alla zucca illuminata e sfogliava una copia di «PCWorld». Quando ero entrata aveva alzato lo sguardo e mi aveva sorriso. Immaginai che fosse Ralph.
«Desidera?» Ralph aveva i capelli biondi, era stempiato e aveva la carnagione rosata e lucida.
«Sono la dottoressa Tempe Brennan» dissi allungando il braccio.
«Ralph Stover.»
Ci stringemmo le mani e i suoi braccialetti tintinnarono come i campanellini della porta.
«Sono un'amica di Primrose Hobbs» dissi.
«Sì?»
«La signora Hobbs è stata qui nelle ultime due settimane?»
«Sì, era qui da noi.»
«Lavoro nella squadra che si occupa delle indagini sull'incidente.»
«Conosco la signora Hobbs.» Il sorriso di Ralph non ebbe esitazioni.
«C'è?»
«Posso telefonare nella sua stanza, se vuole.»
«Sì, grazie.»
Compose il numero, ascoltò, riagganciò.
«La signora Hobbs non risponde. Vuole lasciare un messaggio?»
«Mi sembra di capire che non ha lasciato il motel.»
«La signora Hobbs è ancora sul nostro registro.»
«Oggi l'ha vista?»
«No.»
«Quando l'ha vista per l'ultima volta?»
«Non posso ricordarmi i movimenti di tutti gli ospiti.»
«La signora Hobbs non va più a lavorare da domenica, e sono preoccupata per lei. Potrebbe dirmi qual è la sua stanza?»
«Mi spiace ma non posso farlo.» Il sorriso si fece più grande. «È la nostra politica.»
«Potrebbe essere malata.»
«La cameriera ce l'avrebbe riferito, come ci avrebbe riferito se nella stanza ci fosse stato qualcosa fuori posto.»
Ralph era educato come un poliziotto a un posto di blocco. Okay. Sarei stata educata anch'io.
«È una questione molto importante.» Gli appoggiai delicatamente il palmo sul polso e lo guardai negli occhi. «Potrebbe dirmi qual è l'auto della signora Hobbs, così posso uscire nel parcheggio a vedere se c'è?»
«No, non posso.»
«Possiamo andare insieme a controllare la sua stanza?»
«No.»
«Potrebbe andarci lei mentre io aspetto qui?»
«No signora.»
Ritirai la mano e tentai un'altra strada.
«Pensa che la signora Stover si ricorderebbe quando ha visto la signora Hobbs per l'ultima volta?»
Ralph intrecciò le dita e le appoggiò sulla rivista. I peli degli avambracci erano pallidi e sottili contro la pelle rosa.
«Lei mi sta facendo le stesse domande degli altri, e mia moglie e io le daremo le stesse risposte. Non apriremo alcuna stanza se non dietro presentazione di un mandato, e non rilasceremo informazioni su nessuno dei nostri ospiti.» La sua voce era morbida come il burro.
«Quali altri?»
Ralph tirò un lungo e paziente sospiro.
«Posso fare ancora qualcosa per lei, signora?»
Con un tono tagliente come un bisturi replicai: «Se a causa della vostra cosiddetta "politica" dovesse succedere qualcosa a Primrose Hobbs vi giuro che vi pentirete amaramente di aver frequentato il vostro corso di amministrazione alberghiera».
Gli occhi di Ralph si strinsero, ma il sorriso non ebbe cedimenti.
Presi un biglietto da visita dalla borsa e scarabocchiai il mio numero di cellulare.
«Se dovesse ripensarci, mi chiami.»
Mi voltai e andai verso la porta.
«Le auguro una buona giornata, signora.»
Udii il fruscio di una pagina di rivista, il tintinnio dei braccialetti.
Salii in macchina, uscii dal parcheggio e imboccai la statale. Ma dopo cinquanta metri mi fermai. Se conoscevo la natura umana, la curiosità avrebbe spinto Stover nella stanza di Primrose. E lo avrebbe fatto immediatamente.
Chiusi rapidamente la macchina, e corsi fino alla svolta che portava al Riverbank, poi tagliai nel bosco e proseguii parallela alla strada di ghiaia finché non riuscii ad avere una buona visuale del motel.
La mia intuizione era corretta. Ralph era appena arrivato all'unità 4. Si guardò a destra, poi a sinistra, quindi aprì la porta e sgusciò dentro.
Passarono i minuti. Cinque. Dieci. Il mio respiro si fece regolare. Intanto il cielo si era fatto scuro e il vento più forte. Sopra di me, i pini si inarcavano come ballerine che studiano la posizione delle braccia sur les pointes.
Pensai a Primrose. Ci conoscevamo da anni, eppure sapevo molto poco di lei. Era stata sposata, aveva divorziato e da qualche parte aveva un figlio. A parte questo, la sua vita era un libro chiuso. Come mai? Era una persona riservata oppure non mi ero data la pena di chiedere? Avevo trattato Primrose come una delle tante persone che passano del tempo con noi, consegnandoci la posta, scrivendo i nostri verbali, pulendo le nostre case, mentre noi viviamo la nostra vita incuranti della loro?
Forse. Ma conoscevo Primrose Hobbs abbastanza bene per essere certa di una cosa. Non avrebbe mai lasciato un lavoro a metà di sua iniziativa.
Aspettai. I lampi saettavano da una nuvola color melanzana, illuminando il suo interno come un'arteria da milioni di watt. I tuoni rombavano. Il temporale non era lontano.
Infine Ralph uscì, accostò la porta e girò la maniglia, quindi si allontanò rapidamente lungo il marciapiede. Quando fu rientrato in ufficio, cominciai ad avvicinarmi aggirando l'edificio e usando gli alberi come copertura; da una parte avevo il retro del motel, dall'altra il fiume, in mezzo gli alberi. Camminai tra la vegetazione fino a un punto che stimai essere di fronte all'unità 4, poi mi fermai ad ascoltare.
La pioggia ribolliva sulle pietre. I rami stormivano al vento. Il fischio di un treno. Valvole che si aprivano e chiudevano nel mio petto. Tuoni, adesso più forti. E incalzanti.
Mi spinsi fino al margine del bosco e sbirciai fuori.
Una fila di verande in legno spuntava dal retro del motel, ognuna con un numero in ferro battuto fissato alla ringhiera. Il mio istinto non mi aveva tradita. Solo cinque metri d'erba mi separavano dall'unità 4.
Inspirai a fondo, schizzai verso la veranda e salii i quattro gradini con due balzi. Subito mi precipitai verso la porta a zanzariera, che si aprì con un cigolio. Il vento si era improvvisamente calmato e quel rumore sembrò mandare in frantumi l'aria pesante di pioggia. Mi pietrificai.
Silenzio.
Mi avvicinai alla porta e guardai attraverso il vetro. Tendine a quadretti bianchi e verdi impedivano la vista. Provai la maniglia. Niente da fare.
Richiusi delicatamente la zanzariera, mi spostai verso la finestra e riprovai. Altre tendine.
Notai una fessura dove la parte inferiore della finestra toccava il davanzale. Appoggiai i palmi sull'intelaiatura e spinsi verso l'alto. Una fila di scagliette bianche mi cadde tra le dita.
Riprovai e la finestra si sollevò di un paio di centimetri. Di nuovo mi pietrificai. Nella mente sentii il suono di un allarme e vidi Ralph uscire dall'ufficio con una Smith & Wesson.
Spostai le mani e infilai le dita nella fessura.
Quello che stavo facendo era illegale. Lo sapevo. Entrare nella stanza di Primrose era esattamente la cosa da non fare, vista la mia situazione. Ma dovevo accertarmi che stesse bene. Dopo, se mai si fosse scoperto che non era così, avrei avuto bisogno di sapere che avevo fatto il possibile per aiutarla.
E poi, a essere sincera, dovevo farlo anche per me stessa. Dovevo scoprire che cosa era successo a quel piede. Dovevo rintracciare Primrose e dimostrare a quei tre che si erano sbagliati.
Allargai le gambe e spinsi verso l'alto. La finestra si sollevò di un altro paio di centimetri.
Udii i pat... pat... pat... dei goccioloni che cadevano sulle assi della veranda. Macchie grandi come monete si moltiplicavano e si fondevano tra loro vicino ai miei piedi.
Riuscii a sollevare la finestra ancora un po'.
Proprio in quel momento scoppiò il temporale. Tuoni, lampi, torrenti di pioggia, e la veranda si trasformò in una scintillante pista di pattinaggio.
Lasciai perdere la finestra e mi addossai alla parete, sperando che la tettoia mi offrisse un po' di riparo. Dopo qualche secondo avevo i capelli fradici e l'acqua che mi colava dal naso e dalle orecchie. I vestiti mi si erano appiccati addosso come carta pesta a una struttura di fili di metallo.
Milioni di gocce cadevano dal tetto e dalla veranda, e rimbalzavano sul prato formando dei rivoli che scorrevano tra le zolle d'erba e nella grondaia sopra la mia testa. Il vento scagliava le foglie contro i muri e contro le mie gambe, o le faceva turbinare sul terreno portando con sé l'odore della terra e del legno bagnato, e di infinite creature nascoste nelle tane e nei nidi.
Tremante, aspettai che il temporale si sfogasse, la schiena premuta contro il muro, le mani sotto le ascelle. Osservai le gocce imperlare una ragnatela, disegnare e poi curvare i fili, e il ragno che guardava irrequieto, un grumetto marrone in bilico su uno dei fili esterni.
Si formarono isole, le piattaforme continentali si spostarono, un certo numero di specie scomparve per sempre dal pianeta.
D'un tratto il mio cellulare trillò e quel suono giunse così inaspettato che quasi saltai giù dalla veranda.
Premetti il tasto per l'ascolto.
«No comment!» urlai, aspettandomi l'ennesimo giornalista.
Un fulmine scoccò tra le chiome degli alberi, seguito a ruota dal rombo di un tuono.
«Dove diavolo è finita?» Era Lucy Crowe.
«Il temporale è scoppiato all'improvviso.»
«È all'aperto?»
«Lei è tornata a Bryson City?»
«Sono ancora a Fontana Lake. Perché non mi richiama quando torna al coperto?»
«Ho paura che ci vorrà un po' di tempo.» Non avevo nessuna intenzione di dirle perché.
Crowe parlò con qualcun altro, poi tornò al telefono.
«Purtroppo ho un'altra brutta notizia per lei.»
Udii delle voci in sottofondo, poi i fruscii di una radio della polizia.
«Pare che abbiamo trovato Primrose Hobbs.»
20
Mentre io incontravo il nostro stimato vicegovernatore e i suoi amici, i proprietari di un porticciolo turistico trovavano un cadavere.
Com'era loro abitudine, Glenn e Irene Boynton si erano alzati all'alba e si erano subito dedicati alle prime febbrili attività del mattino: noleggio di attrezzature, vendita di esche, preparazione di refrigeratori con ghiaccio, sandwich e bibite in lattina. Quando Irene era andata a controllare una barca per la pesca delle spigole che il giorno prima era rientrata tardi, una strana increspatura dell'acqua l'aveva attirata alla fine del molo. Aveva sbirciato verso la superficie ed era rimasta terrorizzata da due occhi senza palpebre che la fissavano.
Seguendo le indicazioni di Lucy Crowe, trovai Fontana Lake e lo sterrato che conduceva al porticciolo. Anche se aveva smesso di piovere, le foglie gocciolavano ancora. Proseguii fino al lago evitando il più possibile le pozzanghere e sollevando spruzzi di fango e acqua.
Avvicinandomi al porticciolo, vidi un'autogru, un'ambulanza e un paio di volanti inondare un parcheggio di lampi intermittenti rossi, blu e gialli. La marina si trovava tra la riva e un lato del parcheggio. Consisteva in una struttura decrepita che fungeva da ufficio, distributore e spaccio, con due strette banchine che si protendevano nell'acqua da entrambi i lati. Una manica a vento dai colori sgargianti sventolava su un angolo dell'edificio, producendo un effetto stridente con la triste scena che si stava svolgendo.
Un vicesceriffo interrogava una coppia in pantaloncini di jeans e giacca a vento su uno dei moli.
I due erano tesi, il viso più pallido dello stucco.
Davanti all'ufficio, Lucy Crowe parlava con Tommy Albright, un patologo dell'ospedale che occasionalmente eseguiva le autopsie per il medico legale. Albright era magro, con il viso solcato dalle rughe e i radi capelli bianchi riportati all'indietro sulla sommità della testa. Praticava incisioni a Y dalla notte dei tempi ma non avevo mai lavorato con lui.
Albright mi guardò avvicinarmi e mi tese la mano.
Gliela strinsi, e salutai Crowe con un cenno della testa.
«Mi hanno detto che lei conosceva la vittima.»
Albright indicò l'ambulanza. Il portellone era aperto e rivelava la presenza di un contenitore bianco e lucido adagiato su una lettiga pieghevole. Dal volume capii che il sacco mortuario era già occupato.
«L'abbiamo ripescata poco prima che scoppiasse il temporale. Se la sente di procedere a un primo riconoscimento?»
«Sì.»
No! Non volevo farlo. Non volevo essere lì. Non volevo identificare il corpo senza vita di Primrose Hobbs.
Andammo all'ambulanza e salii a bordo. L'odore era già forte, nonostante il portellone aperto. Deglutii più volte.
Albright abbassò la cerniera del sacco e fummo assaliti dalla puzza, un nauseante cocktail di fango, alghe, creature di lago e tessuti in putrefazione.
«Suppongo che si trovasse in acqua da due o tre giorni. I pesci non hanno potuto darsi troppo da fare.»
Trattenni il respiro e guardai nel sacco.
Era Primrose Hobbs, ma non sembrava lei. Aveva il viso tumefatto, le labbra gonfie come quelle di un pesce tropicale in un acquario. La pelle scura si era sfogliata a chiazze scoprendo il versante più profondo e più chiaro dell'epidermide e dando al suo corpo un aspetto maculato. I pesci o le anguille le avevano divorato le palpebre e mangiucchiato la fronte, le guance e il naso.
«Non ci saranno troppi problemi a scoprire la causa del decesso» disse Albright. «Ma naturalmente Tyrell vorrà un'autopsia completa.»
I polsi di Primrose erano legati con il nastro isolante e stretto intorno alla gola aveva ancora un filo metallico.
Mi sentii in bocca il sapore della bile e deglutii più volte.
«Garrottata?»
Annuì. «Il bastardo le ha passato il cavo intorno alla gola e poi lo ha stretto da dietro con qualche attrezzo. Molto efficace per tranciare la trachea.»
Mi coprii il naso e la bocca con la mano e mi avvicinai. Su un lato del collo vidi una serie di linee frastagliate, lasciate dalle sue unghie mentre, con le mani legate, cercava di salvarsi la vita.
«È lei» confermai, saltando giù dall'ambulanza. Avevo bisogno di aria. Chilometri, oceani di aria fresca.
Corsi alla fine del molo non occupato, e rimasi lì per qualche secondo con le braccia strette intorno al petto. In lontananza udii il fischio di una barca. Le onde sciabordavano ai miei piedi. Le rane gracchiavano tra le alghe che orlavano la riva. La vita continuava, incurante della morte di una delle sue creature.
Ripensai a Primrose, la rividi uscire zoppicando dall'obitorio per venire al nostro ultimo incontro. Una donna nera di sessantadue anni con un diploma da infermiera, problemi di peso, talento per le carte, orgoglio per la sua torta al rabarbaro. Sì. In effetti sapevo qualcosa della mia amica.
Il mio petto ebbe una serie di sussulti.
Calma, Brennan.
Tirai un faticoso respiro.
Pensa.
Che cosa può aver fatto, saputo o visto Primrose per scatenare una simile violenza su di sé? È stata uccisa perché era mia amica?
Un altro tremore. Inghiottii una boccata d'aria.
O stavo sopravvalutando il mio ruolo? La sua morte era stata casuale? Noi americani siamo i più grandi produttori di omicidi al mondo. Primrose era stata legata e strangolata solo per la sua auto? Non aveva senso. Non con il nastro isolante e il cavo con cui l'avevano garrottata. Quello era stato un omicidio premeditato e lei era la vittima predestinata. Ma perché?
Sentii i portelloni sbattere e mi voltai. Gli assistenti stavano entrando nell'abitacolo dell'ambulanza. Qualche secondo dopo, il motore rombò e il veicolo si avviò sullo sterrato.
Arrivederci, amica mia. Se sono stata io a portarti là dove sei, ti prego di perdonarmi. Sentii un tremore alle labbra e tentai di fermarlo mordendole.
Non piangere. Ma poi perché no? Perché trattenere le lacrime per la morte di una persona buona e gentile?
Guardai il lago. Il cielo si stava aprendo e i pini che lambivano la riva in lontananza si stagliavano bluastri contro le prime striature rosate del crepuscolo. Mi venne in mente un'altra cosa.
Primrose Hobbs amava i tramonti.
Guardai il tramonto e piansi finché non sopraggiunse la rabbia. Più della rabbia. Mi sentii bruciare dentro da una furia cieca.
Tienila sotto controllo, Brennan. Usala.
Giurai a me stessa di trovare una risposta, respirai a fondo e tornai indietro per unirmi a Crowe e Albright.
«Che macchina guidava?» domandai.
Crowe consultò un blocco a spirale.
«Honda Civic blu. Del '94. Targa del North Carolina.»
«Non c'era davanti al Riverbank Inn.»
Crowe mi guardò stranita.
«A quest'ora la sua macchina potrebbe essere già partita per l'Arabia Saudita» disse Albright.
«Lo sapete che la vittima mi stava aiutando con le indagini?»
«Volevo giusto parlarle di questo» disse Crowe.
«Avete trovato qualcosa qui?» domandai.
«Stiamo ancora cercando.»
«Tracce di pneumatici? Impronte?» Mi resi conto immediatamente della stupidaggine che avevo detto. Se anche ci fossero state, ormai la pioggia le aveva cancellate.
Crowe scosse la testa.
Osservai i pick-up e i furgoncini lasciati dai pescatori e dai navigatori da diporto. E due fuoribordo in alluminio da cinque metri che beccheggiavano ormeggiati al molo.
«Ci sono persone che lasciano qui le loro barche in modo permanente?»
«No, qui si può solo noleggiare.»
«Questo significa che ogni giorno c'è un grande viavai di persone. Un posto piuttosto affollato per scaricare un cadavere.»
«I noleggi devono essere pagati entro le otto di sera. Pare che dopo quell'ora la situazione sia più tranquilla.»
Indicai sulla banchina i due con la faccia color dello stucco. Erano rimasti soli, le mani in tasca e l'aria di chi non sa cosa deve fare dopo.
«Sono i proprietari?»
«Glenn e Irene Boynton. Dicono che stanno qui ogni sera fino alle undici, e tornano verso le sei del mattino. Vivono qui vicino.» Crowe indicò lo sterrato.
«Dicono che di notte stanno sempre attenti che non vengano dei ragazzi a far casino con le barche, perciò se passasse un'auto se ne accorgerebbero. Nessuno dei due ha sentito o visto qualcuno nelle ultime tre notti. Ammesso che questo valga qualcosa. Un delinquente certo non si fa sentire mentre sta usando il tuo molo per liberarsi di un cadavere.»
Gli occhi vetro di Coca-Cola osservarono la scena, poi tornarono su di me.
«Comunque lei ha ragione. È improbabile che abbiano lasciato un cadavere in questo posto. A circa un chilometro da qui ci sono delle stradine che arrivano fino alla spiaggia. Stiamo pensando che potrebbero averla scaricata laggiù.»
«Ma le correnti avrebbero trasportato il cadavere fin qui in meno di due o tre giorni» aggiunse Albright. «Il corpo potrebbe essere rimasto a mollo per un po'.»
«A mollo?» scattai, irritata dalla noncuranza del suo linguaggio.
«Mi scusi. Il mestiere a volte ci rende insensibili.»
Quasi non avevo il coraggio di porre la domanda successiva.
«Ha subito violenza sessuale?»
«Era vestita, le mutandine erano al loro posto. Verificherò la presenza di sperma, ma non credo.»
Rimanemmo in silenzio, inondati dalla luce del tramonto. Alle nostre spalle, i moli scricchiolavano colpiti dalle onde. Una brezza gelida soffiava dal mare, portandoci l'odore del pesce e della benzina.
«Perché qualcuno dovrebbe voler strangolare in questo modo una vecchia signora?» dissi a voce alta, ma in realtà la domanda era rivolta a me stessa.
«Chi fa fare a questi bastardi maledetti tutto quello che fanno?» replicò Albright.
Mi congedai e mi avviai verso la macchina di Ryan. L'ambulanza e l'autogru erano andate via, mentre le volanti stavano ancora lì, a illuminare con i loro lampi blu il parcheggio fangoso. Sedetti per qualche secondo, fissando le centinaia di impronte lasciate dai barellieri, dagli operatori dell'autogru, dai poliziotti, dai patologi e da me stessa. La scena dell'ultima catastrofe di Primrose.
Girai la chiave e ripartii per Bryson City, con le lacrime che mi rigavano le guance.
Quella sera, quando controllai i messaggi che avevo ricevuto, ne trovai uno di Lucy Crowe. La richiamai e le raccontai tutto quel che sapevo di Primrose Hobbs, fino al nostro appuntamento di domenica mattina all'obitorio.
«E il piede e tutta la documentazione relativa adesso sono scomparsi?» domandò Lucy Crowe.
«Così mi hanno detto. Primrose probabilmente è stata l'ultima persona a vedere quella roba.»
«Parker Davenport le ha detto che Primrose Hobbs aveva prelevato il piede e la documentazione. Ma si sa se la donna aveva rimesso quelle cose al loro posto?»
«Bella domanda.»
«Mi parli del sistema di sicurezza.»
«Tutti i collaboratori del DMORT e il personale dell'Istituto di medina legale hanno un tesserino d'identità, come le persone del suo Dipartimento e del Dipartimento di polizia di Bryson City che si occupano della sicurezza. Una guardia controlla il tesserino al cancello d'ingresso, e dentro l'obitorio c'è un modulo di entrata/uscita da firmare. Ogni giorno sul tesserino viene applicato un punto colorato.»
«Perché?»
«Perché nel caso qualcuno riesca a duplicare il tesserino, non può comunque sapere il colore del giorno.»
«E per gli straordinari?»
«Al momento probabilmente il personale è molto ridotto all'obitorio, più che altro tecnici addetti ai computer e all'inserimento dati e alcuni medici. Di notte non c'è nessuno, tranne uno dei suoi vice oppure un poliziotto di Bryson City.»
Mi venne in mente il vicegovernatore con la sua videocassetta.
«Al cancello d'ingresso c'è una videocamera di sorveglianza.»
«E i computer?»
«Gli addetti al software VIP hanno una password ciascuno, e solo un ristretto numero di tecnici può inserire o cancellare i dati.»
«Supponiamo che Primrose Hobbs avesse rimesso a posto il piede. Dove l'avrebbe depositato?»
«Alla fine della giornata tutto il materiale viene custodito nei camion refrigeratori, che sono suddivisi in tre categorie: casi non esaminati, casi in corso d'esame, casi identificati. I diversi casi vengono rintracciati con un sistema computerizzato.»
«Sarebbe molto difficile penetrare nel sistema?»
«Ci sono dei liceali che sono entrati nel database del Pentagono.»
Udii in sottofondo delle voci che sembravano arrivare da un buco lasciato dai tarli nello spazio.
«Sceriffo, credo che Primrose Hobbs sia stata uccisa a causa di quel piede.»
«Oppure il piede potrebbe essere un campione di materiale biologico pericoloso.»
«Una donna esamina un reperto che è l'oggetto del contendere, quel reperto scompare e la donna viene ritrovata cadavere tre giorni dopo. Se tra questi fatti non c'è un legame, certo che si tratta proprio di una bella serie di coincidenze.»
«Stiamo cercando in tutte le direzioni.»
«Ha scoperto perché nessuno ha denunciato la sua scomparsa?»
«Pare che le indagini si stiano allargando anche a Charlotte. Quando Primrose Hobbs non si è presentata all'obitorio lunedì mattina, i suoi colleghi hanno immaginato che fosse andata a Charlotte. Ma gli amici di Charlotte pensavano che lei fosse ancora a Bryson City. Primrose aveva l'abitudine di chiamare il figlio tutti i sabati, perciò lui non poteva immaginare che le fosse successo qualcosa.»
Pensai al figlio di Primrose. Era sposato? Era padre? Lavorava nell'esercito? Era gay? Madre e figlio avevano un legame stretto? Ogni tanto il mio lavoro mi porta a essere l'incaricato che comunica le notizie peggiori per una persona. Con una visita una famiglia può rimanere distrutta, una vita cambiata per sempre. Pete mi aveva raccontato che, ai tempi del Vietnam, quasi tutti gli ufficiali dei marine preferivano affrontare il nemico piuttosto che andare da una famiglia nel cuore dell'America a portare la notizia della morte di un parente. E io condividevo quella scelta con tutto il cuore.
Immaginai la faccia del figlio, prima bianca, confusa. Poi, con la comprensione, il dolore, l'angoscia, la sofferenza di una ferita aperta. Chiusi gli òcchi, dividendo per un attimo la sua lacerante disperazione.
«Sono passata al Riverbank Inn.»
La voce dello sceriffo mi riportò al presente.
«Dopo essere stata al porticciolo, sono andata a fare due chiacchiere con Ralph e Brenda» disse. «Hanno ammesso di non aver più visto Primrose Hobbs dalla domenica, ma non l'hanno considerato strano. Durante la sua permanenza al motel, era andata via senza dare spiegazioni almeno due volte, perciò hanno immaginato che fosse tutto normale.»
«Era andata dove?»
«I due hanno pensato fosse andata a trovare dei parenti.»
«Invece?»
«La sua stanza diceva tutt'altro. Tutti i prodotti da toelette erano al loro posto, spazzolino, filo interdentale, crema per il viso, insomma le cose che una donna porta via quando si mette in viaggio. I vestiti erano nell'armadio, e la valigia vuota sotto il letto, le medicine per l'artrite sul comodino.»
«Borsa? Chiavi dell'auto?»
«Negativo. Sembra che avesse lasciato la stanza da sola ma che non avesse previsto di passare fuori la notte.»
Crowe mi ascoltò mentre le raccontavo della mia visita al motel, ovviamente senza rivelarle la mia intenzione di forzare la finestra della stanza.
«Perché Ralph sarebbe entrato nella stanza?»
«La sua intuizione potrebbe essere corretta. Curiosità. O forse sa più di quello che lascia intendere. Forse voleva prendere qualcosa. Ancora non lo so, ma è sicuro che terremo d'occhio il signor Stover. E parleremo anche con tutti i conoscenti della vittima, cercheremo testimoni che potrebbero averla vista nei tre giorni in cui era scomparsa. Lei conosce la procedura.»
«Controllare i soliti sospetti.»
«Anche se nella contea di Swain non ce ne sono molti.»
«C'era qualcosa nella stanza che indicasse dove poteva essere andata? Un indirizzo? Una cartina? La ricevuta di un pedaggio?»
Qualche disturbo alla linea.
«Abbiamo trovato due numeri accanto al telefono.»
Mentre leggeva le cifre, provai una morsa allo stomaco.
Il primo corrispondeva a High Ridge House. Il secondo al mio cellulare.
Un'ora dopo, a letto, cercavo di ordinare e valutare ciò che sapevo.
Fatto: il mio piede misterioso non apparteneva a Joseph Wahnetah. Possibilità: il piede veniva da un cadavere sepolto nel cortile dello chalet. La macchia sul terreno conteneva acidi grassi volatili. Là sotto qualcosa si era decomposto. Possibilità: il piede veniva dal Trans-South Air 228. I contenitori per i rifiuti sanitari pericolosi e altre parti corporee non identificate erano stati recuperati vicino ai rottami dell'aereo.
Fatto: il piede e la sua documentazione erano scomparsi. Possibilità: Primrose Hobbs aveva tenuto con sé il materiale. Possibilità: Primrose Hobbs aveva rimesso il materiale al suo posto, e qualcun altro l'aveva sottratto.
Fatto: i resti di Jean Bertrand e di Pepper Petricelli non erano ancora stati identificati. Possibilità: nessuno dei due si trovava sull'aereo. Possibilità: l'investigatore e il suo prigioniero erano a bordo, ma i loro corpi erano stati polverizzati dall'esplosione.
Fatto: Jean Bertrand adesso era un indiziato.
Fatto: un testimone sosteneva di aver visto Pepper Petricelli nello Stato di New York. Possibilità: Bertrand faceva il doppio gioco. Possibilità: Bertrand era stato fatto fuori.
Fatto: ero stata accusata di aver rubato una prova. Possibilità: non si fidavano più di me per via della mia amicizia con Andrew Ryan, compagno di Bertrand nella SQ. Possibilità: ero stata scelta come capro espiatorio per impedirmi di partecipare alle indagini. Ma quali indagini, quelle sul disastro aereo o sullo chalet? Possibilità: stavo correndo dei rischi. Qualcuno aveva cercato di investirmi e aveva messo sottosopra la mia stanza.
Una fitta di paura. Trattenni il respiro. Ascoltai.
Silenzio.
Fatto: Primrose Hobbs era stata assassinata. Possibilità: la sua morte era uno dei tanti episodi di violenza. Più probabilmente: la sua morte era legata al piede scomparso.
Fatto: Edward Arthur era entrato in possesso della proprietà di Running Goat Branch nel 1933 attraverso il suo matrimonio con Sarah Livingstone. Il terreno era stato trasformato in un campeggio, dopo che Arthur aveva costruito uno chalet e poi venduto la terra nel 1949 a un uomo chiamato Prentice Dashwood, ma i diritti di proprietà erano stati assunti per conto dell'H&F Investment Group S.r.L. Arthur non aveva costruito alcun muro di pietra né dei cortili. Chi era questo Prentice Dashwood?
Accessi la lampada, andai a prendere il fax ricevuto da McMahon dal Delaware e, infreddolita, tornai velocemente a letto. Accoccolata sotto le coperte, rilessi l'elenco di nomi.
W.G. Davis, F.M. Payne, C.A. Birkby, F.L. Warren, P.H. Rollins, M.P. Veckhoff.
L'unico nome vagamente familiare era quello di Veckhoff. Un abitante di Charlotte chiamato Pat Veckhoff era stato membro del senato del North Carolina per sedici anni. Era morto improvvisamente l'inverno precedente. Mi chiesi se per caso ci fosse un legame tra il senatore e il M.P. Veckhoff dell'elenco.
Spensi la luce e cercai dei collegamenti fra gli elementi che conoscevo. Ma fu tutto inutile. Il ricordo di Primrose continuava a ostacolare la mia concentrazione.
Primrose al computer, occhialini sulla punta del naso. Primrose al parcheggio. Primrose sul sito del disastro di un aereo di pendolari. 1997. Kinston, North Carolina. Primrose seduta al tavolo da gioco, durante una partita a carte. Primrose a Charlotte. La caffetteria del Presbyterian Hospital. Io che mangiavo una pizza vegetariana con piselli in scatola e asparagi. Ricordai la pizza, ma non il motivo per cui avevo incontrato lì Primrose.
Primrose in un sacco mortuario.
Ma perché, buon Dio?
Era stata scelta, indagata, seguita e poi eliminata per un complicato disegno? Oppure la sua morte era stata un caso, l'impulso malato di uno psicopatico? La prima Honda blu. La quarta donna che esce dal supermercato. La prossima donna nera. La sua morte era stata premeditata, oppure le cose si erano messe male, e a un certo punto la situazione era sfuggita irreversibilmente al controllo?
La violenza contro le donne non è un fenomeno recente. La storia e la preistoria sono disseminate delle ossa delle mie sorelle. Le fosse comuni di Cahokia. Il bacino sacro di Chichen Itzá. La ragazza dell'Età del Ferro con i capelli rasati, bendata e legata nella palude.
Le donne sono ormai condizionate a essere diffidenti. A camminare più veloci al minimo rumore di passi. A guardare nello spioncino prima di aprire la porta. A stare vicine ai comandi, nell'ascensore vuoto. A temere il buio. Primrose era stata semplicemente una delle tante donne vittime di violenza?
Ma chi stavo prendendo in giro? Conoscevo bene la ragione della sua morte. Non avevo dubbi.
Primrose Hobbs era stata assassinata perché aveva risposto a una richiesta. La mia richiesta. Aveva ricevuto un fax, preso delle misure, e riferito i dati. Mi aveva aiutata, e facendo questo aveva urtato qualcuno.
L'avevo coinvolta, e per questo motivo quel qualcuno l'aveva uccisa. Il senso di colpa e la paura si concretizzarono in un peso che mi premeva sul petto.
Ma in che modo Primrose rappresentava una minaccia? Aveva scoperto qualcosa che io non conoscevo? Aveva capito il significato di quella scoperta, oppure era del tutto inconsapevole della sua importanza? Era stata messa a tacere per ciò che sapeva, o per quello che qualcuno temeva avrebbe scoperto?
E io? Anch'io rappresentavo una minaccia per qualche pazzo omicida?
I miei pensieri furono interrotti da un flebile lamento che proveniva da fuori. Sollevai di scatto le coperte, indossai velocemente una felpa e un paio di jeans e infilai le scarpe da barca. Poi attraversai la casa in punta di piedi e uscii dalla porta sul retro.
Boyd era seduto accanto alla sua cuccia, il naso puntato verso le stelle. Quando mi vide, schizzò in piedi e prese a scodinzolare energicamente. Poi balzò verso lo steccato e si alzò sulle zampe posteriori, allungando il collo ed emettendo una serie di guaiti.
Gli grattai le orecchie. Boyd mi leccò la mano, al colmo dell'eccitazione.
Quando entrai nel recinto e gli misi il guinzaglio, il cane non riuscì più a trattenersi e prese a ruotare su se stesso e a raspare il terreno.
«Stai buono» dissi puntandogli un dito davanti al muso. «Questo è contro le regole.»
Mi guardò con la lingua penzoloni e le sopracciglia che danzavano. Attraversammo il giardino ed entrammo in casa.
Qualche minuto dopo eravamo nella mia camera, al buio, io a letto, Boyd sdraiato sul tappeto accanto a me. Lo sentii sospirare mentre abbandonava il mento sulle zampe anteriori.
Mi addormentai con la mano sulla sua testa.
21
Il mattino seguente mi svegliai presto, con una sensazione di freddo e di vuoto di cui subito non capii il motivo. Ma poi arrivò come un'onda spessa e spaventosa.
Primrose era morta.
Il doppio tormento del lutto e del senso di colpa furono quasi paralizzanti, e rimasi immobile a lungo, desiderando chiudere con il mondo intero.
Poi Boyd mi toccò il fianco con il muso. Mi voltai e gli grattai le orecchie.
«Hai ragione, ragazzo. L'autocommiserazione non ha mai portato niente di buono a nessuno.»
Mi alzai, mi vestii e uscii con Boyd a fare una breve passeggiata. Quando rientrai, trovai sulla porta della mia camera un biglietto. Ryan avrebbe trascorso un'altra giornata con McMahon e quindi non aveva bisogno dell'automobile. Le chiavi che gli avevo lasciato sul tavolo erano a mia disposizione.
Il cellulare aveva cinque nuovi messaggi. Quattro giornalisti e P&T. Chiamai il garage, e cancellai gli altri.
Il lavoro richiedeva più tempo del previsto. L'auto sarebbe stata pronta l'indomani.
Era già un risultato.
E adesso?
Un'idea emerse dal mio lontano passato. Il rifugio preferito di una bambina inquieta o preoccupata. Non c'era niente di male, e magari avrei scoperto qualcosa di utile. In più, per qualche ora sarei stata anonima e inaccessibile.
Dopo una colazione a base di pane tostato e i fiocchi di granturco, presi l'auto e andai alla Marianna Black Public Library, una biblioteca ospitata in un edificio di mattoni a un piano all'angolo tra la Everett e l'Academy. Degli scheletri di cartone decoravano l'ingresso, ognuno con un libro in mano.
Un nero alto e magro con diversi denti d'oro occupava un bancone nell'atrio principale. Accanto a lui lavorava una donna più vecchia, che stava fissando sopra le loro teste una catena di zucche gialle. Quando entrai si voltarono entrambi.
«Buon giorno» dissi.
«Buon giorno.» L'uomo mi mostrò chilometri del prezioso metallo. La sua collega dai capelli violetti mi guardò sospettosa.
«Vorrei dare un'occhiata ai vecchi numeri del giornale locale» dissi con un sorriso disarmante.
«Vuol dire dello "Smoky Mountain Times"?» domandò la signora Bibliotecaria, posando la cucitrice metallica.
«Sì.»
«Da quando?»
«Potremmo partire dagli anni Trenta o Quaranta?»
La signora corrugò la fronte. «La nostra raccolta inizia nel 1895. All'epoca il quotidiano si chiamava "Bryson City Times". I numeri più vecchi naturalmente sono su microfilm. Non è possibile vedere gli originali.»
«I microfilm vanno benissimo.»
Mister Bibliotecario cominciò ad aprire e impilare libri. Notai le unghie lucidate, i vestiti impeccabili.
«Il visore è nella stanzetta vicino a quella principale, accanto alla sezione genealogica. Può avere solo una scatola alla volta.»
«Grazie.»
La signora Bibliotecaria aprì uno dei due armadi dietro il bancone, e prese una piccola scatola grigia. «Forse è meglio che venga a spiegarle come si usa l'apparecchio.»
«Non è necessario che si disturbi. Ho una certa confidenza con i visori.»
Mi passò i microfilm e lessi sul suo viso quello che poteva essere il peggiore dei suoi incubi: trovarsi un utente perso tra gli scaffali.
Regolai il visore e controllai l'etichetta della scatola. 1931-1937.
Un'immagine di Primrose mi attraversò la mente, e le lacrime mi annebbiarono la vista.
Basta. Niente dolore.
Ma perché ero lì? Qual era il mio obiettivo? Ne avevo uno, o mi stavo semplicemente nascondendo?
No. Un obiettivo l'avevo.
Ero ancora convinta che il cortile dello chalet fosse il centro dei miei problemi, e volevo capire qualcosa di più delle persone che avevano un legame con quel cortile. Arthur mi aveva detto che aveva venduto la terra a un certo Prentice Dashwood. Ma a parte quello, e i nomi sul fax di McMahon, non ero molto sicura di ciò che stavo cercando.
Per la verità, non avevo grandi speranze di trovare qualcosa di utile, ma ero a corto di idee. E dovevo fare qualcosa per cancellare le accuse che pendevano su di me. Non potevo tornare a Charlotte prima che mi riparassero l'automobile ed ero esclusa da ogni altro tipo di indagine. Al diavolo. La storia doveva pur insegnare qualcosa.
Nel breve periodo in cui aveva prestato servizio nella Marina, Pete aveva attaccato nel suo ufficio un poster con questa scritta: L'INDECISIONE È LA CHIAVE PER LA FLESSIBILITÀ.
Se la massima andava bene per gli ufficiali-avvocati dei Marine Corps degli Stati Uniti, poteva andare bene anche per me. Avrei cercato tutto.
Inserii la pellicola e la fissai sul visore. La macchina era un vecchio modello a manovella. Probabilmente era stato costruito prima che i fratelli Wright riuscissero ad alzarsi in volo a Kitty Hawk. Testi e fotografie apparivano ora nitidi ora sfocati. Nel giro di qualche minuto cominciai a sentire le prime avvisaglie di un imminente mal di testa.
Scorsi una bobina dopo l'altra, facendo continue puntate al bancone dell'atrio. Verso la fine degli anni Quaranta, la signora Bibliotecaria si rilassò e mi concesse cinque scatole alla volta.
Lessi di serate di beneficenza, autolavaggi, feste parrocchiali e spettacoli teatrali. I reati erano per lo più minori e riguardavano infrazioni del codice stradale, ubriachezza e schiamazzi, oggetti smarriti e atti di vandalismo. Non trascurai gli annunci di nascita, morte e matrimoni, né le vendite di roba usata.
La guerra aveva strappato molti abitanti alla contea di Swain. Dal '42 al '45 le pagine erano affollate dai loro nomi e dalle fotografie. E ogni morte era motivo per scrivere un lungo articolo sulla persona.
Non mancarono comunque gli abitanti che riuscirono a morire nei loro letti. Nel dicembre del 1943, la dipartita di Henry Arlen Preston venne annunciata in prima pagina. Preston, avvocato, giudice e giornalista part-time, aveva trascorso tutta la sua vita nella contea di Swain. La sua carriera veniva descritta con dovizia di edificanti particolari: i momenti salienti erano stati una legislatura a Raleigh come senatore e la pubblicazione di un'opera in due volumi sugli uccelli del North Carolina occidentale. Preston era morto a ottantanove anni, lasciando la moglie, quattro figli, quattordici nipoti e ventitré pronipoti.
Una settimana dopo la morte di Preston, il «Times» riferiva la scomparsa di Tucker Adams. Cinque centimetri di colonna a pagina sei. Niente fotografie.
Il minuscolo avviso toccò qualcosa dentro di me. Per caso Adams si era arruolato segretamente ed era morto oltreoceano come uno dei nostri numerosi soldati rimasti sconosciuti? Oppure era tornato, aveva sorpreso i suoi vicini con i racconti dell'Italia e della Francia e poi aveva ripreso tranquillamente a vivere la sua vita? O era precipitato da una scogliera? Scappato a Hollywood? Cercai un seguito, ma sulla scomparsa di Adams non trovai altro.
Anche i fenomeni naturali avevano mietuto le loro vittime. Nel 1939 una donna chiamata Hilda Miner era uscita di casa per portare una torta alle fragole alla nipote. Non era mai arrivata e la teglia della torta era stata ritrovata nei pressi del Tuckasegee in piena. La causa presunta della morte di Hilda era stata l'annegamento, anche se il suo corpo non era mai stato ritrovato. Una decina di anni dopo, le stesse acque si erano portate via il dottor Sheldon Brodie, un biologo della Appalachian State University. Un giorno dopo che le acque avevano restituito il corpo del professore, era stata dichiarata la morte presunta di Edna Farrell, anche lei per annegamento. I suoi resti, come quelli di Hilda Miner, non erano mai stati ritrovati.
Mi appoggiai alla sedia e mi strofinai gli occhi. Che cosa aveva detto il vecchio a proposito di Edna Farrell? Avrebbero dovuto fare meglio con lei. Chi avrebbe dovuto fare meglio? Fare meglio in che senso? Si riferiva al fatto che il corpo di Edna Farrell non era mai stato ritrovato? O non era soddisfatto dell'orazione funebre pronunciata da Thaddeus Bowman?
Nel 1959 la fauna locale aveva portato via un vecchio Cherokee di settantaquattro anni di nome Charlie Wayne Tramper. Tre settimane dopo la sua scomparsa, il fucile di Charlie era stato trovato in una remota vallata della Riserva. Le impronte di orsi avevano suggerito la possibile causa della morte. Il vecchio era stato sepolto con una cerimonia indiana tradizionale.
Mi era capitato di lavorare sulle vittime aggredite dagli orsi, e sapevo che cosa poteva essere rimasto di Charlie Wayne. Scacciai l'immagine dalla mente.
L'elenco dei pericoli ambientali gentilmente messi a disposizione da madre natura proseguiva. Nel 1972 una bambina di quattro anni si era allontanata da un campeggio nella Maggie Valley. Il corpicino era stato ripescato in un lago il giorno seguente. L'inverno successivo due sciatori di fondo erano morti congelati durante un'improvvisa tempesta di neve. Nel 1986 un produttore di mele di nome Albert Odell era uscito in cerca di funghi e non era mai più tornato.
Non trovai alcun accenno a Prentice Dashwood, alla proprietà di Arthur né ai funzionali dell'H&F Investment Group. L'unica informazione di un certo interesse fu un articolo del 1959 su un incidente occorso sulla statale 19. Sei feriti, quattro vittime. Le fotografie mostravano i rottami delle vetture. Il dottor Anthony Allen Birkby, sessantotto anni, di Cullowhee, era morto tre giorni dopo per ferite multiple. Ne presi nota. Quel nome era abbastanza comune, ma un certo C.A. Birkby compariva sull'elenco del fax di McMahon.
A mezzogiorno avevo la testa che martellava e gli zuccheri del sangue erano crollati a livelli insufficienti a garantire la sopravvivenza. Presi una barretta al muesli, la scartai velocemente e masticai cercando di limitare il rumore mentre inserivo nel visore la milionesima bobina.
I numeri delle annate più recenti non erano ancora stati trasferiti su microfilm, e a metà pomeriggio potei passare alla carta stampata. Ma il mal di testa ormai era scoppiato e il dolore oscillava dal suo epicentro, dietro l'occhio destro, ai lobi frontale, temporale e occipitale.
Ultimo sforzo. Il più difficile. Poi si va a casa.
Merda.
Stavo sfogliando i giornali dell'anno in corso scorrendo titoli e fotografie, quando un nome attirò la mia attenzione: George Adair.
L'articolo sulla scomparsa di Adair era dettagliato, e forniva la data e l'ora esatta della fatale battuta di pesca, una descrizione della vittima e un resoconto per punti di ciò che indossava, con tanto di anello del liceo e medaglietta di San Biagio.
Un altro flashback della mia infanzia. Il prete della parrocchia. La benedizione alla gola il giorno di San Biagio. Com'era la storia? La leggenda voleva che Biagio avesse salvato un bambino che stava morendo soffocato a causa di una spina di pesce. La medaglietta aveva senso. Lucy Crowe aveva detto che Adair lamentava problemi alla gola.
C'era anche un'intervista al compagno di avventura di Adair, alla moglie, agli amici, al datore di lavoro e al prete. Sulla fotografia sgranata che compariva accanto al pezzo la medaglietta si distingueva chiaramente.
Chi era l'altra persona scomparsa di cui Lucy Crowe aveva parlato? Cercai nel mio dolorante cervello. Jeremiah Mitchell. Febbraio. Tornai indietro di cinque mesi e iniziai a cercare con più attenzione. Piccoli particolari cominciavano a collegarsi.
Un breve paragrafo informava della scomparsa di Jeremiah Mitchell. Il 15 febbraio un maschio nero di settantadue anni era uscito dal locale Mighty High Tap e da quel momento nessuno ne aveva saputo più niente. Chiunque avesse avuto informazioni, eccetera eccetera.
Le vecchie abitudini sono dure a morire, pensai con una punta di rabbia. Un bianco scompare: articolo in prima pagina. Un nero scompare: dieci righe a pagina diciassette. O forse il punto era la posizione sociale. George Adair aveva un lavoro, amici e famiglia. Jeremiah Mitchell era un alcolista disoccupato che viveva solo.
Ma Jeremiah aveva un parente. All'inizio di marzo la notizia era stata ripresa, di nuovo in un unico paragrafo, per sollecitare eventuali informazioni e per citare il nome della nonna materna, Martha Rose Gist. Fissai l'articolo. Quanto tempo prima avevo incontrato quel nome?
Tornai alle scatole, esaminando i microfilm di settimana in settimana. Il necrologio risaliva al 16 maggio 1952, accanto a un articolo di quindici centimetri sulla pagina dell'arte. Martha Rose Gist era stata una ceramista abbastanza famosa nella zona. L'articolo includeva la fotografia di una coppa in ceramica finemente decorata, che però non era dell'artista.
Accidenti!
Mi accertai che la sala fosse vuota, e accesi il cellulare. Sei messaggi. Li ignorai e composi il numero di Lucy Crowe, cercando di attutire i bip con il giaccone.
«Sceriffo Crowe.»
Non persi tempo a presentarmi.
«Lei sa chi era Sequoya?» domandai sussurrando.
«Per caso è in una chiesa?»
«No, alla biblioteca di Bryson City.»
«Se Iris la becca, le strappa le labbra e le butta nella macchina per distruggere i documenti.»
Immaginai che Iris fosse il drago dai capelli violetti che avevo incontrato all'entrata.
«Sequoya?»
«Sequoya aveva inventato un alfabeto per la lingua dei Cherokee. Se rimane da queste parti per un po', è sicuro che qualcuno le regalerà un posacenere decorato con i suoi simboli.»
«Qual era il cognome di Sequoya?»
«Vuole la mia risposta definitiva?»
«Non sto scherzando.»
«Guess.»
«Guess?»
«Sì. Oppure anche Gist, a seconda della traslitterazione. Perché?»
«La nonna materna di Jeremiah Mitchell era Martha Rose Gist.»
«La ceramista?»
«Sì.»
«Porca miseria.»
«Ha capito che cosa significa questo, vero?»
Non aspettai la sua risposta.
«Mitchell aveva sangue cherokee.»
«Questa è una biblioteca!»
Le parole di Iris mi bruciarono un lato del viso.
Alzai un dito.
«Interrompa immediatamente!» gridò, come poteva gridare un essere umano senza usare le corde vocali.
«Esiste un quotidiano pubblicato nella Riserva?»
«Sì. "Cherokee One Feather". E credo ci sia anche un archivio fotografico della tribù al museo.»
«Devo andare.» Chiusi la chiamata e spensi il telefono.
«Sono costretta a chiederle di uscire.» Iris mi guardava con le mani sui fianchi, un ufficiale della Gestapo messo a proteggere la parola stampata.
«Devo riportare le scatole?»
«Non è necessario.»
Mi ci vollero tre tappe per trovare quello che cercavo. Con un giro agli uffici del «Cherokee One Feather», situato al Centro del Consiglio tribale, scoprii che il giornale veniva pubblicato solo dal 1966. Anni prima esisteva un'altra pubblicazione, «The Cherokee Phoenix», ma il personale attuale non possedeva né fotografie né numeri arretrati.
La Cherokee Historical Association aveva delle fotografie, ma quasi tutte erano state utilizzate come immagini promozionali per la rappresentazione teatrale all'aperto Unto These Hills.
Trovai terreno più fertile al Museum of the Cherokee Indian sull'altro lato della strada. Quando esposi la mia richiesta, mi portarono in un ufficio del secondo piano, mi consegnarono un paio di guanti di cotone e mi permisero di curiosare nell'archivio fotografico e tra i giornali.
Nel giro di un'ora trovai la mia conferma. Martha Rose Standingdeer era nata nel 1889 sul Qualla Boundary. Nel 1908 aveva sposato John Patrick Gist e l'anno seguente aveva dato alla luce una bambina, Willow Lynette.
A diciassette anni, Willow aveva sposato Jonas Mitchell nella chiesa africana metodista Zion di Greenville, in South Carolina. Il loro ritratto di nozze mostrava una ragazza delicata con abito in stile impero completato da una cloche con veletta e da un mazzolino di margherite in mano. Al suo fianco, un uomo con la pelle molto più scura della sua.
Osservai la fotografia. Jonas Mitchell, ossuto e non troppo attraente, aveva uno strano fascino. Oggi avrebbe potuto posare per le pubblicità di Benetton.
Willow Mitchell nel 1928 aveva dato alla luce Jeremiah ed era morta l'inverno successivo. Dopo quella data non trovai più alcun riferimento a Jonas o a suo figlio.
Mi sedetti, elaborando ciò che avevo appreso. Jeremiah Mitchell era almeno per metà nativo americano. Al momento della scomparsa, aveva settantadue anni. Senza dubbio il piede doveva appartenere a lui.
I miei centri deduttivi si collegarono immediatamente. Le date non corrispondevano.
Mitchell era scomparso in febbraio. Il profilo degli acidi grassi volatili dava un intervallo postmortem di sei o sette settimane, collocando la data tra la fine di agosto e l'inizio di settembre.
Forse Mitchell, dopo aver lasciato il Mighty High Tap, non era morto subito. Forse si era avventurato chissà dove, poi era tornato ed era morto di freddo sei mesi dopo.
E dove poteva essere andato?
A fare un viaggio.
Un vecchio alcolista di settantadue anni senza auto e senza soldi?
Capita.
Un momento. Morire di freddo d'estate?
Rimasi seduta, confusa e frustrata da un milione di fatti che non riuscivo a far quadrare.
Sperando che le immagini fossero meno tossiche per il mio mal di testa, passai all'archivio fotografico.
Di nuovo, una serie di particolari attirò la mia attenzione.
Dopo aver sfogliato sessanta o settanta album, fui colpita da una fotografia in bianco e nero. Una bara coperta di fiori. Persone in lutto, alcune vestite secondo la moda dell'epoca, altre in costume tradizionale cherokee. Voltai la fotografia. Su un'etichetta gialla, scritta con inchiostro ormai sbiadito, lessi: Funerale di Charlie Wayne Tramper, 17 maggio 1959. Il vecchio scomparso e ucciso da un orso.
Analizzai le fisionomie e mi fermai su uno dei due ragazzi che si tenevano in disparte. Ero così sorpresa che rimasi senza fiato.
Nonostante fosse più giovane di quarant'anni, non era possibile confondere quel volto. Nel 1959, quasi trentenne, doveva essere rientrato da poco dall'Inghilterra. Un professore di archeologia a Duke. Una vedette del mondo accademico prossima a uscire di scena.
Perché Simon Midkiff era al funerale di Charlie Wayne Tramper?
Spostai lo sguardo verso destra e trasalii. Simon Midkiff aveva di fianco un uomo che in seguito avrebbe raggiunto la carica di vicegovernatore.
Parker Davenport.
O no? Aguzzai la vista. Sì. No. Quest'uomo era molto più giovane, più magro.
Esitai, mi guardai intorno. Nessuno aveva sfogliato quegli album per cinquant'anni. Non era un furto. Avrei restituito la foto entro pochi giorni, non avrei fatto alcun danno.
Feci sparire la fotografia nella borsetta, riposi il raccoglitore nel cassetto, e corsi via.
Una volta fuori, chiamai le informazioni telefoniche e richiesi il numero del Dipartimento risorse culturali di Raleigh. Aspettai di essere collegata direttamente, e quando mi risposero, chiesi di parlare con Carol Burke. Neanche dieci secondi ed era già al telefono.
«Carol Burke, chi parla?»
«Carol, sono Tempe Brennan.»
«Che tempismo! Stavo per chiudere bottega. Stai pensando di andare a scavare un altro cimitero?»
Tra i suoi molti compiti, il Dipartimento risorse culturali del North Carolina si occupa della tutela dei beni culturali. Quando viene presentato un piano di sviluppo che comprende denaro, permessi, licenze o terre statali o federali, Carol e i suoi colleghi ordinano una serie di sopralluoghi e di scavi per stabilire se vengono messi a rischio siti storici o preistorici. Progetti che riguardano statali, aeroporti, fognature: nessun terreno viene toccato senza l'autorizzazione del Dipartimento.
Carol e io ci eravamo conosciute ai tempi in cui l'archeologia era la mia attività principale. Ero stata contattata due volte dai pianificatori di Charlotte per lavorare al trasferimento di cimiteri storici, e Carol aveva supervisionato entrambi i progetti.
«Non questa volta. Mi serve un'informazione.»
«Farò del mio meglio.»
«Vorrei sapere qualcosa del sito che Simon Midkiff sta scavando per te.»
«Attualmente?»
«Sì.»
«Al momento non sta facendo niente per noi. Almeno, niente di cui io sia al corrente.»
«Non sta scavando nella contea di Swain?»
«Non credo. Aspetta.»
Quando tornò al telefono, io ero arrivata all'auto di Ryan e avevo aperto la portiera.
«No. Midkiff non lavora per noi da più di due anni e non credo lo farà prossimamente: ci deve ancora presentare la relazione sugli scavi relativa all'ultimo contratto.»
«Grazie.»
«Come sarebbe bello se tutte le richieste che ricevo fossero così facili.»
Avevo appena chiuso la telefonata, quando il cellulare trillò. Un giornalista del «Charlotte Observer». Un ricordo della mia crescente notorietà. Interruppi la comunicazione senza commentare.
Sentivo i vasi sanguigni martellare dentro la testa.
Tutta quella storia non aveva senso. Perché Midkiff mi aveva mentito? Perché lui e Davenport avevano partecipato al funerale di Tramper? Si erano conosciuti all'epoca?
Avevo bisogno di un'aspirina. Avevo bisogno di mangiare qualcosa. Avevo bisogno di un ascoltatore obiettivo.
Boyd.
Dopo aver ingerito due pastiglie, presi il cane e uscimmo a fare un giretto in auto. Boyd, naso al vento e testa fuori dal finestrino, si torceva e voltava in continuazione per cogliere ogni possibile odore. Mentre ero in coda a un Burger King per automobilisti, lo osservai e mi venne in mente la scena dello scoiattolo, poi lo rividi davanti al muro dello chalet. Ma che cosa lo aveva addestrato a scovare il proprietario precedente?
D'un tratto mi venne un'idea. Un posto per un picnic e per controllare un po' di nomi.
Il cimitero di Bryson City si trova sulla collina di Schoolhouse Hill, affacciato su Veteran's Boulevard da una parte, e su una valle di montagna dall'altra. Ci vollero sette minuti di automobile.
Boyd non capì la deviazione, e continuò a leccare il sacchetto del cibo per tutto il tragitto. Quando arrivai a destinazione, il pacchetto di cartone era così bagnato che dovetti portarlo con due mani.
Boyd mi trascinò da una lapide all'altra, facendo qualche pipì e scalciando con le zampe posteriori le zolle d'erba. Infine, si fermò davanti a una colonnina di granito rosa, si voltò e guaì.
Sylvia Hotchkins
Venne al mondo il 12 gennaio 1945.
Lasciò questo mondo il 20 aprile 1968.
Strappata all'affetto dei suoi cari nella primavera della vita.
Il '68 è stato un anno duro per tutti noi, Sylvia.
Sicura che avrebbe gradito un po' di compagnia, sedetti ai piedi di una grossa quercia che ombreggiava la tomba di Sylvia e ordinai a Boyd di sedersi accanto a me. Lui obbedì, gli occhi fissi sul pacchetto del cibo che avevo in mano.
Quando presi un hamburger, Boyd scattò in piedi.
«Seduto.»
Obbedì ancora. Scartai il panino e glielo porsi. Lui si alzò, separò i vari componenti e mangiò nell'ordine: carne, pane, lattuga e ketchup. Quando ebbe terminato alzò il muso sporco di salsa e si concentrò sul mio pranzo.
«Seduto.»
Obbedì di nuovo. Sparsi le patatine sul prato e lui cominciò a sollevarle delicatamente per non farle affondare tra i fili d'erba. Scartai il mio hamburger e infilai una cannuccia nella bibita.
«Veniamo al problema.»
Body sollevò lo sguardo, e tornò immediatamente alle sue patatine.
«Perché Simon Midkiff sarebbe dovuto andare al funerale di un vecchio Cherokee di settantaquattro anni ucciso da un orso?»
Per un po' entrambi mangiammo riflettendo sulla questione.
«Midkiff è un archeologo. Forse stava eseguendo delle ricerche sul gruppo orientale dei Cherokee. Forse Tramper era la sua guida e il suo storico.»
L'attenzione di Boyd si spostò sul mio panino. Gli regalai altre patatine.
«Okay. Diciamo che le cose stanno così.»
Morsi un boccone, masticai, ingoiai.
«Ma allora perché Parker Davenport era lì?»
Boyd mi guardò senza sollevare la testa dal cibo.
«Davenport è cresciuto da questa parti. Probabilmente conosceva Tramper.»
Boyd rizzò le orecchie e le abbassò. Finì le ultime patatine e fissò le mie. Gliene lanciai ancora qualcuna.
«Forse Tramper e Davenport avevano amici comuni nella Riserva. O forse ai tempi Davenport stava già gettando le basi della sua carriera politica.»
Passai al cane altre cinque o sei patatine. Di nuovo Boyd mi guardò.
«Che mi dici di questo? All'epoca Davenport e Midkiff si erano già conosciuti?»
Boyd alzò la testa. Le sopracciglia ruotarono e la lingua cadde penzoloni.
«Se sì, come si erano incontrati?»
Piegò la testa di lato e mi osservò finire l'hamburger. Gli gettai il resto delle patatine, e intanto sorseggiai la mia Diet Coke.
«Ecco il nocciolo del problema.»
Raccolsi la carta e la appallottolai con il resto della scatola di cartone. Non vedendo altro cibo, Boyd si abbandonò su un fianco, sospirò rumorosamente e chiuse gli occhi.
«Midkiff mi ha mentito. Davenport vuole la mia testa. Esiste un collegamento tra le due cose?»
Boyd non aveva risposte.
Appoggiai la schiena al tronco della quercia e cercai di assorbire tutta la luce e il calore possibili. L'erba tagliata di fresco profumava, le foglie seccavano al sole. A un certo punto Boyd si alzò, girò tre o quattro volte su se stesso, poi si risistemò accanto a me.
Non passò molto tempo che un uomo comparve sulla cima della collina insieme a un collie legato con una corda. Boyd si mise a sedere e abbaiò all'altro cane, ma non tentò alcuna mossa aggressiva. Il sole del tardo pomeriggio addolciva me e l'animale. Gli rimisi il guinzaglio e mi alzai in piedi.
Passeggiammo tra le tombe nella luce del crepuscolo. Non trovai nessuno dell'elenco H&F, ma trovai lapidi con nomi familiari. Thaddeus Bowman. Victor Livingstone e la figlia Sarah Mashman Livingstone. Enoch McCready.
Mi vennero in mente le parole di Luke Bowman e mi chiesi di che cosa fosse morto il marito di Ruby nel 1986. Ma invece di risposte, trovai solo altre domande.
Però, almeno un mistero era risolto. Una persona scomparsa e ritrovata. Mentre stavo per andare via, mi imbattei in una pietra disadorna nell'angolo più meridionale del cimitero. Su di essa avevano inciso un semplice messaggio.
Tucker Adams
1871 - 1943
Riposi in pace
22
Lasciato il cimitero, tornai a High Ridge House, sistemai Boyd per la notte e salii in camera, senza sapere che sarebbe stata una serata di telefonate come non mi capitava dai tempi del liceo. Non feci in tempo ad accendere il cellulare, che ricevetti la chiamata di Pete.
«Allora, come sta il grande Boyd?»
«Si sta godendo la flora e la fauna montana. Sei rientrato a Charlotte?»
«Sono ancora bloccato in Indiana. Il quadrupede ti sta facendo impazzire?»
«Boyd ha un modo tutto suo di prendere la vita.»
«Novità?»
Gli raccontai di Primrose.
«Mi dispiace moltissimo, piccola mia. Tu stai bene?»
«Mi riprenderò. C'è dell'altro.»
Gli riassunsi l'incontro con Davenport ed elencai le accuse che il vicegovernatore aveva intenzione di sporgere a mio carico.
«Sembra proprio un bastardo di prima categoria.»
«Non cercare di impressionarmi con il tuo gergo da avvocato.»
«Qui sotto ci deve essere una motivazione politica. Ti sei fatta un'idea del perché?»
«Non gli piace il mio taglio di capelli.»
«A me sì. Hai scoperto altro su quel piede?»
Gli raccontai della stima istologica dell'età, della classificazione razziale, dell'ex scomparso Joseph Wahnetah e dell'attuale scomparso Jeremiah Mitchell.
«Mitchell sembrerebbe un ottimo candidato per la proprietà del piede.»
Gli descrissi la fotografia del funerale di Charlie Wayne Tramper e gli riferii della mia telefonata al Dipartimento risorse culturali di Raleigh.
«Ma perché Midkiff ti avrebbe mentito?»
«Forse neanche a lui piace il mio taglio di capelli. Secondo te devo cercarmi un avvocato?»
«Ne hai già uno.»
«Grazie Pete.»
La chiamata successiva era di Ryan. Lui e McMahon avevano finito tardi e sarebbero dovuti tornare al sito del riassemblaggio all'alba, perciò avrebbero passato la notte ad Asheville.
«Problemi con il telefono?»
«I media hanno fiutato l'odore del sangue, perciò ho deciso di tenerlo spento. A parte questo, ho trascorso gran parte della giornata in biblioteca.»
«Scoperto qualcosa?»
«La vita di montagna è dura per i vecchi.»
«In che senso?»
«Non so. Ma sembra che da queste parti molte persone anziane finiscano annegate, congelate o tornino nella catena alimentare. Preferisco la pianura, grazie. Come procedono le indagini?»
«Quelli delle analisi chimiche stanno rilevando delle tracce strane.»
«Esplosivo?»
«Non necessariamente. Ti racconto tutto domani.»
«Bertrand e Petricelli sono stati ritrovati?»
«No.»
Subito dopo ricevetti la chiamata di Lucy Crowe. Non aveva grandi novità e non aveva il mandato.
«Il procuratore distrettuale non vuole tornare sulle decisioni del magistrato senza avere in mano qualcosa di consistente.»
«Ma che diavolo vogliono queste persone? Il maggiordomo in biblioteca con il candeliere in mano?»
«Trova che le sue argomentazioni siano piuttosto contraddittorie.»
«Contraddittorie?»
«Il profilo degli acidi grassi volatili dice che qualcosa è morto durante l'estate. Mitchell è scomparso a febbraio. La signora Pubblico Ministero è convinta che la macchia di decomposizione sia stata causata da un animale. Dice che non si può piombare in casa di un libero cittadino perché nel suo cortile c'è della carne che marcisce.»
«E il piede?»
«Una vittima dell'incidente aereo.»
«C'è qualcosa sull'omicidio di Primrose?»
«È saltato fuori che Ralph Stover non è proprio un villico. Il signore possedeva una società in Ohio e aveva i brevetti di diversi microchip. Nel 1986 la vita di Ralph ha avuto una svolta in seguito a un attacco cardiaco. Ha venduto tutto per un sacco di soldi e ha comprato il Riverbank. Da allora si è sempre occupato della gestione di quel motel.»
«Dagli archivi della polizia è uscito niente?»
«Due verbali per guida in stato di confusione mentale negli anni '70, ma a parte questo l'amico è pulito.»
«Tutto ciò ha un senso per lei?»
«Forse ha guardato troppe puntate di La casa nella prateria e sognava da sempre una vita a contatto con la natura.»
La chiamata successiva arrivò dal mio amico di Oak Ridge. Laslo Sparkes mi domandò se potevamo vederci il mattino dopo. Fissammo un appuntamento per le nove. Bene. Forse aveva qualche altro risultato dai campioni di terra.
L'ultima chiamata fu del capo del mio dipartimento all'università. Esordì scusandosi per i modi bruschi con cui mi aveva liquidata qualche sera prima.
«Mio figlio, quello di tre anni, aveva messo il nostro gattino nell'asciugatrice dopo averlo fatto cadere nella tazza del gabinetto. Mia moglie aveva appena salvato la povera creatura ed eravamo in preda a una crisi isterica collettiva. Bambini che strillavano. Mia moglie che strillava e cercava di far respirare il gatto.»
«Terribile. Adesso sta bene?»
«Il cucciolo ce l'ha fatta, ma mi sembra che non veda tanto bene.»
«Se la caverà.»
Ci fu una pausa. Lo sentivo respirare nella cornetta.
«Bene, Tempe. Non c'è un modo facile per dirlo, quindi te lo dico e basta. Il rettore oggi ha chiesto di vedermi. Ha ricevuto una lettera di richiamo relativa al tuo comportamento durante le indagini sull'incidente, e ha deciso di sospenderti finché la tua posizione non sarà chiarita.»
Rimasi in silenzio. Niente di quello che stavo facendo a Bryson City era sotto il patrocinio dell'università, anche se venivo pagata dall'ateneo.
«Naturalmente, senza sospensione dello stipendio. Dice che non crede a una sola parola, ma non ha altra scelta.»
«Perché no?» conoscevo già la risposta.
«Come tutti sanno l'università è finanziata dall'amministrazione.» Stavo stritolando il telefono con la mano.
«Ho cercato di ribattere con tutte le argomentazioni a cui sono riuscito a pensare, ma non si è spostato di un millimetro.»
«Grazie, Mike.»
«Passa al dipartimento quando vuoi. Sarai sempre la benvenuta. E ricorda che puoi sempre fare ricorso.»
«No. Prima devo venire a capo di questa storia.»
Chiusi la telefonata e mi dedicai al mio rituale notturno a base di dentifricio, sapone, Oil of Olaz e crema per le mani. Pulita e idratata, spensi la luce, mi nascosi sotto le coperte e gridai con quanto fiato avevo in gola. Poi raccolsi le ginocchia al petto e per la seconda volta in due giorni scoppiai a piangere.
Era tempo di cedere le armi. Non sono una rinunciataria, ma dovevo affrontare la realtà. Non stavo andando da nessuna parte. Non avevo trovato niente di utile per ottenere un mandato, avevo scoperto molto poco al tribunale della contea, avevo spulciato una marea di giornali. Avevo rubato in una biblioteca, ed ero stata sul punto di scassinare una finestra e di commettere violazione di domicilio.
Non ne valeva la pena. Potevo scusarmi con il vicegovernatore, dare le dimissioni dal DMORT e tornare alla mia vita normale.
La mia vita normale.
Qual era la mia vita normale? Autopsie. Esumazioni. Incidenti mortali.
Tutti mi chiedono in continuazione perché ho scelto una professione così morbosa. Perché lavoro con i cadaveri mutilati e decomposti.
Con il tempo e con l'introspezione, sono riuscita a capire la mia scelta. Voglio essere utile ai morti come ai vivi. I morti hanno il diritto di essere identificati. La loro storia ha il diritto di avere una conclusione e un posto nei nostri ricordi. Se muoiono per mano di altri, hanno anche il diritto di vedere che quella mano sia messa in condizione di non nuocere più.
Anche i vivi meritano il nostro sostegno quando la morte di qualcuno cambia la loro esistenza. I genitori, disperati alla notizia di un bambino scomparso. I parenti, che sperano di riavere i resti dei loro cari da Hiroshima, dalla Corea, dal Vietnam. Gli abitanti di un villaggio, senza speranze di fronte a una fossa comune in Guatemala o in Kurdistan. Le madri e i mariti e gli innamorati e gli amici, sconvolti per un incidente aereo sulle Smoky Mountains. Hanno il diritto di ricevere informazioni e spiegazioni, e hanno anche il diritto di vedere i responsabili puniti.
È per queste vittime e per chi le piange che ricavo racconti postumi dalle ossa. I morti rimarranno morti, nonostante i miei sforzi, ma è necessario trovare risposte e attribuire responsabilità. Non possiamo vivere in un mondo che accetta la distruzione della vita senza spiegazioni e senza conseguenze.
Naturalmente, una violazione della deontologia professionale significherebbe la fine della mia carriera nelle discipline forensi. Se il vicegovernatore avesse insistito con la sua linea, sarebbe riuscito a impedirmi di esercitare la professione. Un consulente la cui deontologia professionale viene messa in dubbio non potrebbe più presentarsi a un controinterrogatorio. Chi potrebbe mai più fidarsi del mio parere?
La rabbia si sostituì all'autocommiserazione. Non mi avrebbero buttata fuori dal mondo forense con le loro illazioni e accuse infondate. Non potevo cedere, dovevo dimostrare che avevo ragione. Lo dovevo a me stessa. Ma ancora di più lo dovevo a Primrose Hobbs e al figlio che la piangeva.
Ma come? Che fare?
Sentii dentro una grande agitazione, come quel ragno che guardava la sua ragnatela sotto la pioggia. Il mondo veniva attaccato da forze molto più grandi di me, e io non riuscivo a tenerlo insieme.
Infine il sonno arrivò, ma non portò alcun sollievo.
Quando sono agitata, il cervello organizza i pensieri in collage psichedelici, e per tutta la notte immagini sconnesse continuarono a visitarmi, ora più nitide, ora più offuscate.
Sono all'obitorio operativo, analizzo parti corporee. Ryan mi passa davanti. Lo chiamo, gli chiedo che cosa è successo al piede. Lui non si ferma. Cerco di andargli dietro, ma le gambe non si muovono. Continuo a gridare, a gesticolare, ma lui si allontana sempre di più.
Boyd corre in un cimitero con uno scoiattolo in bocca.
Willow Lynette Gist e Jonas Mitchell posano per una fotografia di nozze. La sposa cherokee tiene tra le mani il piede che ho strappato ai coyote.
Il giudice Henry Arlen Preston porge un libro a un vecchio. L'uomo fa per andarsene, ma Preston lo segue e insiste affinché prenda ciò che gli sta offrendo. Il vecchio si volta e Preston lascia cadere il libro. Boyd lo afferra e corre via lungo una strada di ghiaia. Quando riesco a raggiungerlo e a recuperare ciò che ha in bocca, l'oggetto non è più un libro ma una lapide di pietra su cui è inciso il nome di Tucker Adams e 1943, l'anno in cui i due sono morti, uno eminente professionista, l'altro sconosciuto cittadino.
Simon Midkiff seduto su una sedia dell'ufficio del garage P&T. Accanto a lui, un uomo con lunghe trecce grigie e una fascia cherokee sui capelli.
«Perché sei qui?» mi chiede Midkiff.
«Non posso guidare» rispondo. «C'è stato un incidente. Sono morte delle persone.»
«Birkby è morto?» domanda Trecce Grigie.
«Sì.»
«Hanno trovato Edna?»
«No.»
«Non troveranno neanche me.»
Il viso di Trecce Grigie si confonde con quello di Ruby McCready, poi con i lineamenti tumefatti di Primrose Hobbs.
Lanciai un grido e sollevai di colpo la testa dal cuscino. Lo sguardo volò all'orologio. Le cinque e mezza.
La stanza era fredda, eppure avevo la schiena madida di sudore e i capelli appiccicati alla testa. Alzai le coperte e andai in punta di piedi a bere un po' d'acqua. Guardandomi allo specchio mi passai il bicchiere sulla fronte.
Tornai in camera e accesi la luce. La finestra era oscurata dal buio che precede l'alba. Gli angoli dei vetri erano coperti da una ragnatela di ghiaccio.
Infilai tuta e calzettoni, presi un blocco di carta e sedetti al tavolo. Dopo aver diviso in tre alcuni fogli, cominciai ad annotare le immagini che avevo sognato.
Henry Arlen Preston. Il piede dei coyote. Il vecchio con le trecce e con la fascia cherokee. Era per caso Charlie Wayne Tramper? Scrissi quel nome seguito da un punto interrogativo. Edna Farrell. Tucker Adams. Birkby. Jonas e Willow Mitchell. Ruby McCready. Simon Midkiff.
Quindi aggiunsi quello che sapevo di ciascun personaggio.
Henry Arlen Preston: morto nel 1943. Età: ottantanove anni. Avvocato, giudice, scrittore. Uccelli. Uomo di famiglia.
Piede dei coyote: maschio anziano. Nativo americano. Altezza: un metro e sessantacinque circa. Morto l'estate scorsa. Trovato vicino proprietà Arthur/H&F. Passeggero TransSouth?
Charlie Wayne Tramper: Cherokee. Morto nel 1959. Età: settantaquattro anni. Aggredito da un orso. Midkiff e Davenport al funerale.
Edna Farrell: morta nel 1949. Seguace Holiness Church. Annegata. Resti non trovati.
Tucker Adams: nato nel 1871. Scomparso e morto nel 1943.
Anthony Allen Birkby: morto nel 1959. Incidente d'auto. C.A. Birkby su elenco funzionali H&F.
Jonas Mitchell: africano-americano. Sposato a Willow Lynette Gist. Padre di Jeremiah Mitchell.
Willow Lynette Gist: figlia di Martha Rose Gist, ceramista cherokee. Madre di Jeremiah Mitchell. Morta di tubercolosi nel 1929.
Non l'avevo sognato, ma scrissi un appunto anche su Jeremiah Mitchell. Cherokee africano-americano. Nato nel 1928. Solitario. Scomparso lo scorso febbraio.
Ruby McCready: viva e in buona salute. Marito Enoch morto nel 1986.
Simon Midkiff: dottorato a Oxford nel 1955. Duke 1955-1962. University of Tennessee 1962-1969. Funerale di Tramper. Conosceva Davenport (per lo meno era allo stesso funerale). Mente sul Dipartimento risorse culturali di Raleigh.
Quando ebbi terminato, sparpagliai i foglietti sul tavolo e li studiai. Quindi cominciai a ordinarli secondo criteri diversi, partendo dal genere. I gruppi erano molto squilibrati, il più piccolo comprendeva solo Edna Farrell, Willow Lynette Gist e Ruby McCready. Feci un foglietto anche per Martha Rose Gist.
Tra quelle donne non sembrava esserci alcun collegamento.
Dopo di che provai con la razza. Charlie Wayne Tramper e la discendenza Gist-Mitchell andarono in un gruppo, insieme al piede. Cominciai a disegnare un grafico tirando una riga tra Jeremiah Mitchell e il piede.
Età. Di nuovo mi colpì il numero delle persone anziane. A parte Henry Arlen Preston, che era riuscito a morire nel suo letto - per un giudice forse un trapasso appropriato - pochi altri avevano avuto lo stesso privilegio. Tucker Adams, 72. Charlie Wayne Tramper, 74. Jeremiah Mitchell, 72. Preparai un foglietto anche per George Adair, 67. Erano tutti anziani.
La finestra stava passando dal nero al grigio peltro. Decisi di ordinare secondo le date di nascita. Niente. Provai con le date di morte.
Il giudice Henry Arlen Preston era morto nel 1943. Secondo la sua lapide, anche Tucker Adams era morto nel '43. Ripensai all'articolo su Preston e al breve paragrafo sulla scomparsa di Adams meno di una settimana dopo. Misi i due foglietti insieme.
A.A. Birkby era morto nel 1959. Charlie Wayne Tramper era morto nel 1959. Quando era avvenuto l'incidente in cui era morto Birkby? Maggio. Nello stesso mese era scomparso Charlie Wayne.
Eh? Avvicinai i foglietti.
Edna Farrell era morta nel 1949. Non c'era qualcuno annegato solo qualche giorno prima?
Sheldon Brodie, professore di biologia presso la Appalachian State University. Il corpo di Brodie era stato ritrovato. Quello di Edna no.
Preparai un foglietto per Brodie e lo misi accanto a quello di Edna Farrell.
Osservai le tre coppie di foglietti. Per caso era una pista? Qualcuno muore, o viene ucciso, e dopo qualche giorno c'è subito un'altra morte? Forse le persone morivano a coppie?
Iniziai a scrivere una lista di domande.
L'età di Edna Farrell?
Annegamento precedente. Torta di fragole. Età? Data?
Causa della morte di Tucker Adams?
Jeremiah Mitchell, febbraio. George Adair, luglio. Altri?
La stanza aveva i colori del sole che nasce e fuori dalla finestra sentivo il cinguettio degli uccelli. Un rettangolo di luce si posò sul tavolo illuminando le mie domande e i miei appunti.
Fissai i foglietti appaiati, con la sensazione che ci fosse dell'altro. Qualcosa di importante. Qualcosa che il mio subconscio non aveva avuto tempo di inserire nel collage.
Quando arrivai all'Everett Street Diner, Laslo stava divorando una focaccina intinta nella salsa. Ordinai frittelle con noci pecan, succo di frutta e caffè. Mentre mangiavamo, mi raccontò della conferenza a cui doveva partecipare, che si teneva alla University of North Carolina di Asheville. Io gli raccontai che lo sceriffo Crowe non era riuscita a ottenere il mandato di perquisizione.
«Quindi i nostri cari vecchi ragazzi sono scettici?» disse, rivolgendo un cenno alla cameriera per avvertirla che aveva finito.
«Anche le ragazze. Il procuratore distrettuale è una donna.»
«Questo potrebbe non aiutare.»
Prese un foglio dalla valigetta portadocumenti e me lo passò. Mentre leggevo, la cameriera ci riempì nuovamente le tazze. Quando ebbi finito, alzai lo sguardo.
«In sintesi, i risultati concordano con quello che mi avevi detto lunedì al laboratorio.»
«Sì. Tranne per la parte che riguarda le concentrazioni di acido caproico ed eptanoico.»
«La conclusione è che i valori sembrano insolitamente alti.»
«Sì.»
«E questo che cosa significa?» domandai.
«Livelli elevati di VFA a catena più lunga in genere indicano che il cadavere è stato esposto al freddo, o che ha subito una diminuzione dell'attività batterica e degli insetti.»
«Questo altera la tua stima del PMI?»
«Continuo a pensare che il processo di decomposizione abbia avuto inizio alla fine dell'estate.»
«Quindi quale può essere la rilevanza della cosa?»
«Non ne sono sicuro.»
«È un fatto che si verifica spesso?»
«Non proprio.»
«Fantastico. Questo potrebbe convincere gli increduli.»
«Forse questo potrebbe essere più utile.» Prese un flaconcino di plastica dalla cartella. «Quando ho filtrato il resto del tuo campione di terra ho trovato questo.»
Il flacone conteneva una minuscola scheggia bianca, non più grande di un chicco di riso. Svitai il tappo e feci scivolare l'oggetto sulla mano. Lo studiai con attenzione.
«È il frammento della radice di un dente» dissi.
«Anch'io l'ho pensato, perciò non l'ho trattato, ho solo spazzolato via la terra.»
«Santa merda.»
«È appunto quello che mi sono detto.»
«Hai dato un'occhiata con il microscopio?»
«Sì.»
«La camera pulpare com'era?»
«Piena zeppa.»
Laslo e io firmammo i moduli per il trasferimento del reperto e infilai il flacone e la relazione tecnica nella mia cartella portadocumenti.
«Posso chiederti un ultimo favore?»
«Ma certo.»
«Se la mia auto è pronta, potresti accompagnarmi a restituire quella che sto guidando, e poi portarmi al garage a prendere la mia?»
«Nessun problema.»
Chiamai il garage P&T e appresi che era accaduto un piccolo miracolo automobilistico. La riparazione era finita. Laslo mi seguì fino a High Ridge House, mi riportò da P&T e poi andò alla sua conferenza. Dopo una breve discussione su pompe e manichette con una delle due lettere, pagai il conto e sedetti al volante.
Prima di lasciare P&T accesi il cellulare, feci scorrere i numeri memorizzati e premetti il tasto per la chiamata.
«Sezione scientifica del Dipartimento di polizia Charlotte-Macklenburg. Desidera?»
«Ron Gillman, per favore.»
«Chi lo cerca?»
«Tempe Brennan.»
Arrivò nel giro di pochi secondi.
«La famigerata dottoressa Brennan.»
«Hai sentito anche tu?»
«Oh, sì. Ti devo prenotare una stanza da queste parti?»
«Molto divertente.»
«Immagino che non lo sia. Non ti chiedo nemmeno se c'è una parte di verità. Sei riuscita a chiarire le cose?»
«Ci sto provando. Avrei bisogno di un favore.»
«Spara.»
«Mi servirebbe un esame del DNA su un frammento di dente, e poi avrei bisogno di confrontare quel profilo con uno che ho preparato su un campione osseo del disastro aereo TransSouth. Potresti farlo?»
«Non vedo perché no.»
«Quando?»
«È urgente?»
«Molto.»
«Allora lo metto tra le pratiche da evadere subito. Quando potresti portarmi il campione?»
Guardai l'orologio.
«Alle due.»
«Chiamo subito la Sezione DNA, tanto per preparare il terreno. Ci vediamo più tardi.»
Misi in moto e mi infilai nel traffico. Prima di lasciare Bryson City mi restavano da fare ancora un paio di cose.
23
Questa volta il drago dai capelli violetti era solo.
«Dovrei semplicemente controllare un paio di cose sui microfilm» dissi, rivolgendo alla bibliotecaria il più smagliante dei sorrisi.
Sul suo viso lessi un ménage à trois di emozioni. Sorpresa. Sospetto. Severità.
«Sarebbe veramente molto gentile se mi volesse dare un po' di bobine per volta. E dato che anche ieri ha fatto così...»
La sua faccia si ammorbidi. Sospirando sonoramente, aprì l'armadio, prese sei scatole e le posò sul bancone.
«La ringrazio moltissimo» dissi melliflua.
Mentre mi avviavo verso la saletta udii il cigolio di uno sgabello e capii che Iris stava allungando il collo verso di me.
«L'uso dei telefoni cellulari è severamente proibito all'interno della biblioteca!» sibilò alla mia schiena che si allontanava.
Diversamente da come avevo fatto durante la prima visita, visionai velocemente le bobine prendendo appunti su argomenti specifici.
In meno di un'ora avevo quello che cercavo.
Tommy Albright non c'era, ma una voce femminile dall'accento marcato mi promise di riferire il messaggio. Il patologo mi richiamò prima che raggiungessi la periferia di Bryson City.
«Nel 1959 un Cherokee di nome Charlie Wayne Tramper morì dopo aver subito l'aggressione di un orso. È possibile che esista ancora un fascicolo così vecchio?»
«Forse sì, forse no. All'epoca non eravamo ancora centralizzati. Che cosa voleva sapere?»
«Ricorda quel caso?» Non potevo crederci.
«Caspita, certo che lo ricordo. Mi è toccato dare un'occhiata a quello che era rimasto del povero vecchio.»
«E cioè?»
«Nella mia vita ho visto tanti casi, ma Tramper è stato il peggiore. Quei piccoli bastardi gli hanno portato via tutto. Compresa la testa.»
«Il cranio non è stato ritrovato?»
«No.»
«E come l'avevate identificato?»
«La moglie aveva riconosciuto il fucile e i vestiti.»
Trovai il reverendo Luke Bowman nel suo cupo giardino, occupato a raccogliere rami secchi. A parte l'aggiunta di una giacca a vento nera, era vestito esattamente come nei precedenti incontri.
Bowman mi guardò parcheggiare accanto al suo pick-up, gettò i rami su una catasta che aveva accumulato accanto al vialetto e si avvicinò all'auto. Ci parlammo attraverso il finestrino aperto.
«Buon giorno, signora Temperance.»
«Buon giorno. Il clima è ideale per i lavori all'aria aperta.»
«Sì, è proprio così.» Frammenti di corteccia e di foglie secche gli sporcavano la giacca a vento.
«Posso chiederle qualcosa, reverendo Bowman?»
«Ma certo.»
«Quanti anni aveva Edna Farrell quando è morta?»
«Credo che sorella Farrell fosse vicina agli ottanta.»
«Si ricorda un uomo chiamato Tucker Adams?»
Il reverendo socchiuse gli occhi, e si toccò il labbro con la punta della lingua.
«Anche Adams era anziano, morì nel 1943» suggerii.
La lingua scomparve e vidi un dito nodoso che puntava verso di me. «Certo che lo ricordo. Avevo dieci anni quando quel vecchio si allontanò dalla fattoria. Partecipai anch'io alle ricerche. Fratello Adams era cieco e mezzo sordo, perciò si mobilitò l'intera comunità.»
«Come morì Adams?»
«Tutti pensarono che fosse deceduto nel bosco. Non l'abbiamo mai trovato.»
«Ma la sua tomba è nel cimitero di Schoolhouse Hill.»
«Non c'è nessuno sepolto là sotto. Fu sorella Adams a mettere quella lapide, un paio di anni dopo la scomparsa del marito.»
«Grazie. Lei mi è stato di grande aiuto.»
«Vedo che i ragazzi le hanno rimesso in pista la macchina.»
«Già.»
«Spero che non le abbiano chiesto troppo.»
«No, signore. Mi è sembrato un prezzo equo.»
Entrai nel posteggio del Dipartimento dello sceriffo subito dopo Lucy Crowe. Lei parcheggiò la volante e aspettò con le mani sui fianchi che spegnessi il motore e prendessi la valigetta portadocumenti.
«Pessima mattinata?»
«Dei cretini hanno rubato un golf cart al country club e l'hanno abbandonato in mezzo alla strada dopo un paio di chilometri. Due bambini di sette anni l'hanno preso e sono finiti contro un albero. Uno si è rotto una clavicola e l'altro ha una commozione cerebrale.»
«Adolescenti?»
«Probabilmente.»
Parlammo camminando.
«Novità sull'omicidio Hobbs?»
«Uno dei miei vice domenica mattina era impegnato nel servizio di sicurezza. Ricorda di aver visto Primrose Hobbs entrare in obitorio verso le otto. Dal computer risulta che la donna ha preso il piede alle nove e un quarto e l'ha rimesso a posto alle due.»
«L'ha tenuto così tanto dopo aver parlato con me?»
«Sembrerebbe.»
Salimmo i gradini e suonammo un cicalino perché ci aprissero la porta esterna. Dopo aver superato una porta a sbarre, come quelle delle carceri, seguii Lucy Crowe lungo un corridoio e oltre un laboratorio, finché arrivammo al suo ufficio.
«Hobbs ha firmato per uscire alle tre e dieci. Un tizio del Dipartimento di polizia di Bryson City quel giorno aveva il turno pomeridiano, ma non ricorda di averla vista andarsene.»
«E la telecamera della sorveglianza?»
«Questa è bellissima.»
Crowe si tolse la radio dalla cintura, la posò su un armadietto e si sedette alla scrivania. Io mi accomodai di fronte a lei.
«La telecamera è andata fuori uso verso le due di domenica pomeriggio ed è rimasta così fino alle undici di lunedì mattina.»
«Qualcuno ha visto Primrose dopo che ha lasciato l'obitorio?»
«No.»
«Nella sua stanza ha scoperto niente?»
«La signora adorava i post-it. Numeri di telefono. Orari. Nomi. Molti appunti, per lo più di lavoro.»
«Primrose perdeva gli occhiali in continuazione. Così li portava attaccati al collo con una catenella, ed era sempre preoccupata di dimenticarsi le cose.» Sentii una sensazione di gelo scendermi nel petto. «Si sa qualcosa di dove sia andata domenica pomeriggio?»
«Niente.» Un vice entrò e posò un foglio sulla scrivania dello sceriffo. Crowe diede un'occhiata e poi tornò alla nostra conversazione.
«Ho visto che la sua auto è di nuovo a posto.»
La mia Mazda evidentemente era l'argomento preferito della contea di Swain.
«Sto tornando a Charlotte, ma prima vorrei mostrarle un paio di cose.»
Le passai la foto del funerale di Tramper sottratta al museo.
«Riconosce qualcuno?»
«Mi venisse un accidente. Parker Davenport, il nostro venerabile vicegovernatore. Il fessacchiotto dimostra quindici anni.» Mi restituì la fotografia. «Che cosa significa questo?»
«Non ne sono sicura.» Poi le passai il parere di Laslo, e aspettai che lo leggesse.
«Quindi il procuratore distrettuale aveva ragione.»
«Oppure avevo ragione io.»
«Eh?»
«Che ne dice di questo scenario: Jeremiah Mitchell muore dopo essere uscito dal Mighty High Tap lo scorso febbraio. Il suo corpo viene conservato in un frigorifero e poi portato all'aperto in un secondo tempo.»
«Perché?» Crowe cercò di non lasciar trasparire lo scetticismo dalla sua voce.
Presi gli appunti che avevo scritto in biblioteca, inspirai a fondo e cominciai.
«Henry Arlen Preston muore qui nel 1943. Tre giorni dopo un coltivatore di nome Tucker Adams scompare. Ha settantadue anni. Il corpo di Adam non è mai stato ritrovato.»
«Ma cosa c'entra questo con...»
Alzai una mano.
«Nel 1949 un professore di biologia di nome Sheldon Brodie annega nel Tuckasegee. Sei giorni dopo Edna Farrell scompare. Ha circa ottant'anni. Il suo corpo non è mai stato trovato.»
Crowe prese una penna e cominciò a giocherellare.
«Nel 1959 Allen Birkby muore in un incidente d'auto sulla statale 19. Due giorni dopo Charlie Wayne Tramper scompare. Tramper ha settantaquattro anni. Il suo corpo è stato ritrovato, ma era ridotto a brandelli e senza testa. Il riconoscimento è stato meramente indiziario.»
La guardai.
«È tutto?»
«In che giorno è scomparso Jeremiah Mitchell?»
Crowe lasciò la penna, aprì un cassetto e prese un fascicolo.
«Il 15 febbraio.»
«Martin Patrick Veckhoff è morto a Charlotte il 12.»
«Un sacco di gente muore a febbraio. È un pessimo mese.»
«Il nome Veckhoff compare sulla lista dei funzionali H&F.»
«Il gruppo d'investimento che possiede la strana proprietà dalle parti di Running Goat Branch?»
Annuii.
«E anche Birkby.»
Si appoggiò allo schienale e si strofinò un occhio. Io presi il flaconcino di Laslo e lo posai davanti a lei.
«Laslo Sparkes ha trovato questo nella terra che abbiamo prelevato insieme vicino al muro dello chalet di Running Goat Branch.»
Lo studiò senza prenderlo in mano.
«È il frammento di un dente. Lo sto portando a Charlotte per sottoporlo a un esame del DNA, per stabilire se è compatibile con il piede.»
Squillò il telefono. Crowe lo ignorò.
«C'è bisogno di trovare un campione di riferimento per Mitchell.»
Esitò un secondo, poi: «Posso vedere di fare qualcosa».
«Sceriffo?»
Gli occhi vetro di Coca-Cola incontrarono i miei.
«Questa storia potrebbe andare ben al di là di Jeremiah Mitchell.»
Tre ore dopo Boyd e io stavamo attraversando Little Rock Road, diretti a nord, sulla I-85. Il profilo di Charlotte spiccava all'orizzonte, come un fusto di saguaro nel deserto di Sonora. Indicai a Boyd i punti salienti del panorama. Il gigantesco fallo del Bank of America Corporate Center. Il palazzo per uffici a forma di siringa su The Square, che ospita il Charlotte City Club, con il tetto verde circolare e l'antenna che svetta al centro, come un ago, appunto. Il profilo del One First Union Center, che ricorda un jukebox.
«Hai visto Boyd? Sesso, droga e rock'n roll.»
Il cane rizzò le orecchie ma rimase in silenzio.
Mentre la periferia di Charlotte ricorda le atmosfere intime delle piccole città, il centro è una distesa di muri levigati e lucenti e di vetri fumé, con una propensione ai reati molto moderna. Il Charlotte-Mecklenburg Police Department, o CMPD, si trova all'interno del Law Enforcement Center, o LEC, una enorme struttura di mattoni all'angolo tra la Quarta e la McDowell. Il CMPD impiega circa millenovecento agenti e quattrocento dipendenti non in divisa, e dispone di una propria Sezione scientifica, seconda solo a quella dell'SBI. Non male per una popolazione inferiore ai seicentomila abitanti.
Uscita dalla superstrada, tagliai per il centro ed entrai nel parcheggio del LEC.
Gli agenti in uniforme blu scuro entravano e uscivano dall'edificio. Boyd ringhiò leggermente quando uno di loro passò vicino all'auto.
«Hai visto che cosa c'è sullo stemma che porta sulla spalla? È un nido di calabroni.»
Boyd produsse una sorta di jodel ma tenne il naso incollato al finestrino.
«Durante la Rivoluzione americana il generale Cornwallis incontrò a Charlotte una fiera resistenza e battezzò la zona con il nome "nido di calabroni".»
No comment.
«Devo entrare, Boyd. Tu non puoi venire.»
Boyd non approvò ma non si mosse.
Promisi di tornare in meno di un'ora, gli diedi la mia ultima barretta al muesli, lasciai il finestrino leggermente abbassato e uscii.
Trovai Ron Gillman nel suo ufficio d'angolo, al quarto piano.
Ron era un uomo alto, con i capelli brizzolati e un fisico che suggeriva anni di basket o di tennis. L'unico neo era una fessura tra i denti davanti, alla Lauren Hutton.
Mi ascoltò senza interrompere mentre gli illustravo la mia teoria su Mitchell e il piede. Quando ebbi terminato, tese la mano.
«Vediamo.»
Infilò gli occhiali con la montatura di corno e studiò attentamente il frammento, girando e rigirando il flaconcino tra le mani. Poi sollevò la cornetta e parlò con qualcuno della Sezione DNA.
«Le cose procedono molto velocemente se la richiesta viene da qua» mi disse abbassando il ricevitore.
«"Velocemente" andrebbe già bene» dissi.
«Ho già controllato il tuo campione di osso. E il profilo è stato inserito nel nostro database delle vittime dell'incidente. Se otteniamo dei risultati da questo» e indicò il flacone «li inseriamo nel database e cerchiamo una corrispondenza.»
«Non puoi immaginare quanto ti sia grata per tutto questo.»
Si appoggiò allo schienale e intrecciò le mani dietro la testa.
«Devi veramente aver pestato i piedi a qualcuno in alto, dottoressa Brennan.»
«Immagino proprio di sì.»
«Ti sei fatta un'idea su chi sia questo qualcuno?»
«Parker Davenport.»
«Il vicegovernatore?»
«Proprio lui.»
«E come hai fatto a infastidire Davenport?»
Voltai i palmi verso l'alto e scrollai le spalle.
«Non è facile aiutarti se non vuoi sbottonarti.»
Lo fissai, divisa tra due possibilità. Avevo parlato della mia teoria a Lucy Crowe. Ma lì era la contea di Swain. Qui ero a casa. Ron Gillman dirigeva il secondo laboratorio scientifico dello Stato. Ma anche se il personale era finanziato localmente, il denaro proveniva dalle sovvenzioni federali amministrate a Raleigh.
Come per l'Istituto di medicina legale. Come per l'università.
Al diavolo.
Gli riferii una versione condensata di ciò che avevo raccontato a Lucy Crowe.
«Davenport e Veckhoff. Il vicegovernatore e un senatore dello Stato. Questa è roba pesante.»
«Henry Preston era un giudice.»
«E qual è il collegamento?»
Prima che potessi rispondere, un uomo apparve sulla porta, il nome Krueger ricamato sulla tasca del camice. Gillman presentò Krueger come il capo dei tecnici della Sezione DNA. Lui e altri analisti eseguivano tutti gli esami sul DNA in laboratorio. Mi alzai e ci stringemmo la mano.
Gillman passò a Krueger il flacone e gli spiegò che cosa volevo.
«Se c'è qualcosa lo troviamo di sicuro» e sottolineò l'affermazione con un pollice alzato.
«Quanto tempo?»
«Dovremo purificare, amplificare, documentare durante tutto il processo. Dovrei poterle consegnare un verbale in quattro o cinque giorni.»
«Sarebbe fantastico.» Quarantotto ore sarebbe fantastico, pensai.
Krueger e io firmammo i moduli per il trasferimento delle prove e il tecnico scomparve con il campione. Attesi che Gillman rispondesse a una chiamata. Quando riagganciò, gli posi una domanda.
«Conoscevi Patrick Veckhoff?»
«No.»
«Parker Davenport?»
«Ci siamo incontrati.»
«E che mi dici?»
«È una persona popolare. La gente vota per lui.»
«Nient'altro?»
«È una grandiosa rottura di palle.»
Gli mostrai la fotografia del funerale.
«È lui vero, anche se risale a molto tempo fa?»
«Sì.»
Mi restituì la foto.
«Allora qual è la tua spiegazione per tutto questo?»
«Non ce l'ho una spiegazione.»
«Ma la troverai.»
«Ma la troverò.»
«Posso aiutarti?»
«Sì, c'è un'altra cosa che potresti fare.»
Trovai Boyd addormentato tra le briciole di barretta al muesli. Non appena udì il rumore delle chiavi, schizzò in piedi e si mise ad abbaiare, ma rendendosi conto che non era un tentativo di furto, prese a scodinzolare. Quando fui seduta dietro al volante, cominciò subito a leccarmi il trucco dalla faccia.
Quaranta minuti dopo arrivai all'indirizzo che Gillman aveva trovato. Il posto era a soli dieci minuti dal centro, e a cinque minuti dal mio appartamento a Carol Hall, ma avevo perso molto tempo per venire a capo del labirinto di Queens Road.
Le strade di Charlotte riflettono la sua personalità schizoide. Da un lato la toponomastica della città segue un principio molto semplice: una volta trovato un nome vincente, insistere su quello. Ecco quindi spiegata la presenza di Queens Road, Queens Road West, Queens Road East. Sharon Road, Sharon Lane, Sharon Amity, Sharon View e Sharon Avenue. Purtroppo però può capitare anche di trovarsi all'incrocio tra Rea Road e Rea Road e tra Park Road e Park Road.
Dall'altro lato, nessun nome sembra adeguato per più di qualche chilometro, e le vie sembrano cambiare nome per capriccio. Tyvola diventa Fairview, e poi Sardis. Percorrendo Providence Road, si arriva a un incrocio dove, svoltando a destra, si è ancora sulla Providence, ma proseguendo dritti ci si trova su Queens Road - che però subito dopo diventa Morehead - e svoltando a sinistra ancora su Queens Road, che subito diventa Selwyn. Il Billy Graham Parkway si trasforma in Woodlawn e poi in Runnymede. La Wendover diventa Eastway.
I problemi più grossi, comunque, arrivano dalla Queens. Io cerco sempre di dare ai visitatori una regola fondamentale per spostarsi in automobile in città: se capitate su una qualunque via o altro di nome Queens, girate alla larga. Per me ha sempre funzionato.
Marion Louise Veckhoff viveva in una grande casa di pietra in stile Tudor su Queens Road East. L'intonaco era color crema, gli infissi di legno scuro e le finestre del piano terra un reticolo di vetro e piombo. Una siepe perfettamente curata circondava la proprietà, e aiuole dai colori vivaci decoravano i muri della casa. Due enormi magnolie occupavano quasi interamente il giardino.
Una signora in collana di perle, ballerine e tailleur pantalone turchese annaffiava le violette da un sentierino che attraversava il prato. La carnagione era pallida, i capelli fulvi.
Salutai Boyd intimandogli di stare buono, scesi dall'auto e chiusi la portiera a chiave. Gridai, ma la donna sembrò ignorare la mia presenza.
«Signora Veckhoff?» ripetei quando mi fui avvicinata al giardino.
La donna trasalì e mi bagnò i piedi con la canna, ma riuscì subito a riportare il getto d'acqua sul prato.
«Oh, ma che disastro. Mi scusi tanto, cara.»
«Non c'è problema.» Mi allontanai di qualche passo dalla pozzanghera che si era formata ai miei piedi. «Lei è la signora Veckhoff?»
«Sì, cara. Tu sei la nipote di Carla?»
«No, signora. Sono la dottoressa Brennan.»
Il suo sguardo si perse nel vuoto per qualche secondo, come se stesse consultando un immaginario calendario alle mie spalle.
«Ho dimenticato un appuntamento?»
«No, signora Veckhoff. Mi chiedevo se per caso potessi farle qualche domanda su suo marito.»
Riportò lo sguardo su di me.
«Pat è stato senatore di questo Stato per sedici anni. È una giornalista?»
«No, non sono una giornalista. Quattro legislature sono un bel traguardo.»
«La carica pubblica lo ha tenuto lontano da casa molto a lungo, ma a lui piaceva.»
«Dove lavorava?»
«A Raleigh, per lo più.»
«Suo marito era mai stato a Bryson City?»
«Dove si trova, cara?»
«Sulle montagne.»
«Oh, Pat adorava la montagna, appena poteva ci andava sempre.»
«Lei seguiva suo marito?»
«Oh, no, no. Io ho l'artrite, e...» La voce si affievolì, come se la donna non sapesse come proseguire il pensiero.
«L'artrite può essere molto dolorosa» dissi.
«Sì, è proprio così. E poi quei viaggetti erano dedicati ai ragazzi. Le spiace se finisco di innaffiare?»
«No, faccia pure.»
La seguii mentre si spostava tra le aiuole di violette.
«Il signor Veckhoff andava in montagna con i vostri figli?»
«Oh, no. Noi abbiamo solo una figlia. Ormai è sposata. No, ci andava con i suoi amici.» Rise, un suono a metà strada fra un colpo di tosse e un singhiozzo. «Diceva che era un modo per stare un po' lontano dalle donne, per sentire di nuovo un po' di fuoco addosso.»
«Andava in montagna con altri uomini?»
«Quei ragazzi erano molto amici, sin dai tempi della scuola. Sentono terribilmente la mancanza di Pat. Anche di Kendall. Eh, sì. Stiamo invecchiando.» Di nuovo la voce scemò fino al silenzio.
«Kendall?»
«Kendall Rollins. È stato il primo ad andarsene. Kendall era un poeta. Conosce le sue opere?»
Scossi la testa, apparentemente calma. Ma dentro il cuore mi batteva forte. Il nome Rollins era sulla lista H&F.
«Kendall è morto di leucemia a cinquantacinque anni.»
«Era molto giovane. Quando è successo?»
«Nel 1986.»
«E dove alloggiavano suo marito e gli amici quando andavano in montagna?»
I muscoli del viso si tesero, e la virgola di pelle sotto il suo occhio sinistro ebbe un tremito.
«Avevano una specie di chalet. Ma perché mi fa tutte queste domande?»
«Di recente un aereo è caduto dalle parti di Bryson City, e sto cercando di sapere ciò che posso su una proprietà vicina. Suo marito poteva essere uno dei proprietari.»
«Quel fatto terribile con tutti gli studenti?»
«Sì.»
«Ma perché tanti giovani devono morire? Un giovane è morto anche durante il viaggio in aereo che stava facendo per partecipare al funerale di mio marito. Quarantatré anni.» Scosse la testa.
«Chi era, signora?»
Guardò altrove.
«Era il figlio di uno degli amici di Pat, viveva in Alabama, perciò non ci siamo mai conosciuti. Eppure la sua morte mi ha spezzato il cuore.»
«Ricorda il suo nome?»
I suoi occhi mi evitarono.
«Conosce i nomi degli altri frequentatori di quello chalet?»
Cominciò a giocherellare con il beccuccio della canna dell'acqua.
«Signora Veckhoff?»
«Pat non mi parlava mai di quelle gite. E io gli lasciavo i suoi piccoli segreti. Un uomo pubblico ha bisogno di un po' di privacy ogni tanto.»
«Ha mai sentito parlare dell'H&F Investment Group?»
«No.» Continuò a fissare la canna dandomi la schiena, ma notai che aveva le spalle rigide.
«Signora Veck...»
«È tardi. Adesso devo tornare dentro.»
«Vorrei scoprire se per caso suo marito aveva interessi in quella proprietà.»
La donna chiuse il beccuccio, lasciò cadere a terra la canna e percorse rapidamente il sentiero.
«Grazie per la pazienza, signora. Mi spiace di averle fatto perdere tempo.»
Aprì leggermente la porta, poi si voltò, la mano solcata di vene azzurre appoggiata alla maniglia. Dall'interno arrivavano i leggeri rintocchi delle campane di Westminster.
«Pat diceva sempre che parlavo troppo. Io non ero d'accordo, e rispondevo che ero solo un tipo amichevole. Oggi penso che forse aveva ragione. Ma a stare da soli si comincia a soffrire di solitudine.»
La porta si chiuse e sentii scattare una serratura.
E va bene, signora Veckhoff. Le tue risposte erano tutte stronzate, ma erano delle stronzate affascinanti. E molto utili.
Presi un biglietto da visita dalla borsa, scrissi l'indirizzo di casa e il mio numero e lo infilai nello stipite della porta.
24
Erano le otto passate quando arrivò il mio primo visitatore. Dopo aver lasciato la signora Veckhoff, avevo comprato del pollo arrosto alla Roasting Company ed ero andata a ritirare Birdie dalla vicina. Avevamo diviso la cena in tre, con Bird che agitava la coda come un piumino per la polvere ogni volta che Boyd gli si avvicinava. Mentre pulivo i piatti dal cibo, sentii qualcuno bussare.
Era Pete, con un mazzo di margherite in mano. Mentre aprivo la porta si inchinò fino alla vita e mi offrì l'omaggio floreale.
«Da parte del mio socio canino.»
«Non era necessario, ma l'apprezzo molto.» Spalancai la porta e Pete entrò in cucina.
Nel sentire la voce di Pete, Boyd arrivò trotterellando, abbassò il muso tra le zampe anteriori e sollevò il sedere, per poi cominciare a saltellare per la stanza. Bastò che Pete battesse le mani e lo chiamasse per nome, perché Boyd si scatenasse abbaiando e correndo in cerchio. Birdie schizzò via.
«Basta. Sta rigando tutto il pavimento.»
Pete scostò una sedia dal tavolo e Boyd gli si avvicinò.
«Seduto.»
Il chow-chow fissò Pete facendo danzare le sopracciglia, e lui gli diede una pacca affettuosa sul dorso. Soddisfatto, Boyd si mise seduto con il mento sul ginocchio del padrone, ricevendo in cambio una vigorosa grattata di orecchie a due mani.
«C'è una birra?»
«Solo analcolica.»
«Perfetto. Come ve la siete cavata voi due?»
«Bene.»
Aprii il frigo e presi una bottiglia, che posai sul tavolo di fronte a Pete.
«Quando sei tornata?»
«Oggi. Come vanno le cose in Indiana?»
«Gli esperti locali in incendi dolosi erano precisi come Stanlio e Ollio. Ma il vero problema era l'affidabilità del liquidatore dell'assicurazione contro la responsabilità civile, che rappresentava il costruttore del tetto. Il suo cliente stava lavorando sul tetto con una lampada ad acetilene esattamente nella zona dov'è scoppiato l'incendio.»
Stappò la bottiglia e bevve un sorso.
«Quello stronzo sapeva causa e origine. Noi sapevamo causa e origine. Lui sapeva che noi sapevamo. Noi sapevamo che lui sapeva che noi sapevamo, ma la sua posizione ufficiale era che avevano bisogno di indagini supplementari.»
«Finiranno in tribunale?»
«Dipende da che cosa hanno da offrire. Comunque, è stato bello prendersi un po' di vacanza dal fiato puzzolente del chow-chow.»
«Ma se lo adori.»
«Non quanto adoro te.» E mi lanciò uno dei suoi sorrisi da Pippo.
«Hmm.»
«Ci sono novità per i tuoi problemi con il DMORT?»
«Forse.»
Pete guardò l'orologio.
«Voglio che mi racconti tutto di questa storia, ma adesso sono stanco morto.»
Finì la bibita e si alzò, e anche Boyd.
«Penso che farò una passeggiata con il mio cane.»
Li guardai uscire, mentre Boyd danzava tra le gambe di Pete. Quando mi voltai, Birdie stava sbirciando verso di me dalla porta del corridoio, le zampe pronte a una rapida ritirata.
«Buon viaggio e tanti saluti!» dissi, ma in realtà ero leggermente indispettita. Quel dannato cane non si era voltato nemmeno una volta.
Birdie e io stavamo guardando Il grande sonno, quando arrivò il secondo visitatore. Io ero in maglietta, mutandine e vecchia vestaglia di flanella. Birdie era accoccolato su di me.
Illuminato dalla luce della veranda, Ryan, pallido e tirato, mi salutò dalla soglia. Evitai di fargli la domanda di rito. Tanto mi avrebbe detto lui stesso il motivo per cui si trovava a Charlotte.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
Ignorò la domanda.
«Una serata in beata solitudine?»
«Lauren Bacali e Humphrey Bogart mi aspettano nello studio.»
Spalancai la porta, come avevo fatto con Pete, e Ryan entrò in cucina. Odorava di fumo stantio e di sudore, e immaginai che arrivasse direttamente dalla contea di Swain.
«Secondo te gli dispiace se facciamo un quartetto al posto di un trio?» Il tono era lieve, ma il suo viso mi diceva che il suo cuore era pesante.
«Sono molto flessibili.»
Mi seguì nello studio e ci sedemmo sul divano, una da una parte, uno dall'altra. Spensi il televisore.
«Bertrand è stato identificato.»
Lo lasciai continuare.
«Più che altro da alcuni denti. E da qualche...» Il suo pomo d'Adamo andò su e giù. «... frammento.»
«Petricelli?»
Scosse la testa, un gesto breve e secco.
«C'erano seduti proprio sopra, perciò Petricelli potrebbe essersi volatilizzato. I resti di Bertrand sono stati ritrovati a due vallate dal sito principale.» La voce inquieta, tremante. «Conficcati in un albero.»
«Tyrell ha dato il nulla osta per i resti?»
«Questa mattina. Li scorterò a Montréal domenica.»
Avrei voluto gettargli le braccia al collo, appoggiargli la testa sul petto e accarezzargli i capelli. Non mi mossi.
«La famiglia vuole una cerimonia pubblica, perciò il funerale sarà organizzato dalla SQ e si terrà mercoledì.»
Non ebbi esitazioni.
«Vengo con te.»
«Non è necessario.» Continuava a stropicciarsi le mani. Le nocche erano bianche come una fila di sassolini.
«Jean era anche amico mio.»
«È un viaggio lungo.»
Aveva gli occhi lucidi. Sbatté la palpebre, si abbandonò sullo schienale e si strofinò il viso con le mani un paio di volte.
«Ti farebbe piacere se venissi anch'io?»
«E la tua partita con Tyrell?»